Legittimo il divieto di procreazione assistita per le coppie omosessuali.
A renderlo noto, in serata, uno scarno comunicato dell’Ufficio stampa della Corte Costituzionale, che, «in attesa del deposito della sentenza», ha fatto «sapere che al termine della discussione le questioni sono state dichiarate non fondate. La Corte ha ritenuto che le disposizioni censurate non siano in contrasto con i principi costituzionali invocati dai due Tribunali».
Nella giornata odierna, infatti, la Corte costituzionale si era riunita «in camera di consiglio per discutere le questioni sollevate dai Tribunali di Pordenone e di Bolzano sulla legittimità costituzionale della legge n. 40 del 2004 là dove vieta alle coppie omosessuali di accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita».
Al riguardo erano stati oggi auditi tanto l’Avvocatura dello Stato, per il tramite di Gabriella Palmieri, quanto gli avvocati Maria Antonia Pili e Alexander Schuster, rispettivamente legali delle due coppie di donne, sulle cui cause intentate contro le Als di pertinenza (che avevano respinto la richiesta di accesso alla procreazione assistita) i tribunali di Pordenone e Bolzano avevano sollevato questione di legittimità costituzionale.
Un esito preannunciato secondo il celebre avvocato Schuster, che nel primo pomeriggio aveva scritto un lungo post su Facebook dal seguente incipit: «Oggi in Corte costituzionale si è parlato di accesso alla fecondazione assistita. Una causa che in questo momento mai avrei voluto discutere, ma il Tribunale di Pordenone ha fatto le sue scelte. E allora occorre salvare il salvabile. Anche se poi sai che ti muovi per spirito di servizio, magari, per limitare il danno.
L’aria era pesante alla Consulta oggi. La collega Pili ed io ci siamo battuti al meglio, ognuno con le sue storie, strategie e competenze. E anche alcune associazioni hanno cercato di dare il loro contributo. Nella mia causa di Bolzano l’Ass. Radicale Certi diritti e la Coscioni».
Lo stesso legale trentino ha così commentato il comunicato dell’Ufficio Stampa della Corte.
«L’esito era temuto. Evidentemente si tratta di una sconfitta – ha scritto in una nota – ma è prematuro commentarla.
Il diritto costituzionale è una scienza giuridica: si caratterizza per rigore logico e per un dialogo con le altre scienze, tra cui la psicologia, che ci dice che i bambini crescono bene anche con due madri. I nostri argomenti erano forti, speriamo lo siano anche quelli per contrastarli.
Il vero significato di questa sentenza dipenderà dalle motivazioni. Io personalmente desidero esprimermi dopo averle lette e cioè quando usciranno tra alcune settimane. Potrebbe essere una cosiddetta sentenza monito, il che non sarebbe una sconfitta, anzi. La Corte potrebbe invitare il Parlamento a mettere mano ad una legge non adeguata ai tempi, smantellata pezzo dopo pezzo, al punto che oramai è necessario ripensarla. E al Parlamento giustamente spetterebbe questo compito. Il problema? Il Parlamento non dà mai seguito a questi moniti, il caso Cappato docet. E al terzo monito la norma è dichiarata incostituzionale. Vedasi la “saga” del cognome della madre per i figli.
Oppure potrebbe essere una sentenza che chiude categoricamente, che condanna la mia cliente del caso di Bolzano al suo destino tutto italiano. La mia madre, che ho chiamato in udienza Teresa, può diventare madre genetica solo se ama un’altra donna, perché nessun uomo potrà mai accogliere il suo ovocita e dare luce ad un bambino.
Molte sono le sfumature. Di certo l’esito negativo è in linea con i tempi che corrono, con chi dice che queste donne, queste famiglie, questi desideri naturali di divenire madre non esistono, che il legislatore può fare sostanzialmente come ritiene opportuno.
Si tratta di una sconfitta non solo per le coppie lesbiche, ma anche per le donne single. In Italia i paletti limitano tutte le donne, non solo quelle lesbiche.
In ogni caso adesso si dovrà vedere come proseguire: l’unica certezza è che, amaramente, ogni speranza di tutelare i diritti di queste donne a divenire madri va riposta semmai in un giudice europeo. E se si vincesse, sarebbe comunque una sconfitta, l’ennesima, per il diritto italiano e per la nostra cultura giuridica».