In occasione del 50° anniversario dei moti di Stonewall è stato proiettato stasera a Roma, presso il Cinema Caravaggio, il docufilm Io sono Sofia di Silvia Luzi.
Classe 1976, Silvia Luzi ha diretto con Luca Bellino numerosi documentari per il cinema e la tv. Tra i titoli più significativi sono da ricordare La minaccia (86′, 2007), nominato ai David di Donatello come miglior documentario, e Dell’arte della guerra (85′, 2012), presentato alla Festa del Cinema di Roma e vincitore di oltre 20 premi internazionali.
Nel 2017 ha esordito, sempre con Luca Bellino, nel cinema di finzione con Il cratere (93′, 2017), presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, e vincitore di numerosi premi, tra i quali il Gran Premio della Giuria al Tokyo International Film Festival e il Grand Prix al Crossing Europe.
Tra i numerosi documentari realizzati con Luca Bellino bisogna segnalare The Vatican Insider – Il denaro in nome di Dio (52’, 2011), che, realizzato da Current Tv, ha visto come consulente il giornalista e saggista Francesco Lepore, già sacerdote nonché latinista presso la Segreteria di Stato vaticano e attualmente caporedattore di Gaynews.
Abbiamo incontrato Silvia stasera al termine della proiezione romana, che è stata seguita da un dibattito sulle questioni trans a partire dal film Io sono Silvia.
Silvia, com’è nata l’idea di realizzare il documentario Io sono Sofia? È stata la prima volta che hai affrontato questioni Lgbti nei tuoi lavori?
L’idea è nata da Gioia Avvantaggiato, la produttrice, e da Sofia stessa, che hanno scelto di mettersi in gioco in modo molto coraggioso e che mi hanno chiesto di realizzare un documentario. Il tema non era nella traiettoria delle mie ricerche, ma ho ritenuto doveroso accettare e provare a sfidare il linguaggio e l’immaginario dominante della descrizione della realtà transgender. Era la prima volta che mi approcciavo professionalmente all’universo Lgbtqi, ma sinceramente non lo considero un tema ”speciale”, anzi. Credo che l’errore sia proprio considerare questi temi come questioni a parte, mentre sono solo storie come le altre.
Come hai vissuto a livello emotivo quest’esperienza e che cosa hai voluto comunicare con questa tua opera?
Inizialmente ero abbastanza scettica sulla possibilità di raccontare una storia e di avere tra i protagonisti i produttori stessi del documentario, si rischiava un corto circuito pericoloso. Poi ho approcciato questa famiglia come un nucleo qualunque, e loro sono stati davvero onesti e puri nel permettermelo, ma non è stato facile per nessuno. Per quanto mi riguarda, in questo lavoro non c’è un messaggio nascosto, o una volontà di educare, perché sarebbe sciocco oltre che inutile. Io sono Sofia è la storia di una scelta, quella dei protagonisti, ma anche la mia. Ho semplicemente scelto da che parte stare.