Ci volevano i decisi richiami di Vincenzo Branà, presidente del Cassero, e la ferma volontà di Simonetta Saliera, presidente dell’Assemblea legislativa emiliano-romagnola, perché, dopo sei mesi di estenuanti rimpalli, si votasse il pdl regionale contro l’omotransnegatività, riportato fra l’altro alla sua versione originale.
Nella tarda mattinata di oggi, infatti, i capigruppo in Regione hanno confermato l’ordine dei lavori: la prossima assemblea legislativa dell’Emilia-Romagna, in calendario per il 9 e 10 luglio, si aprirà con la discussione sul progetto di legge e successiva votazione per l’approvazione.
Tale pdl, che ha spaccato negli scorsi mesi il centrosinistra, risulta essere al primo posto nell’ordine dei lavori, prima anche del Prit, ossia il Piano regionale dei trasporti chiamato a ridisegnare la mobilità fino al 2025. Sia Pd sia centrodestra decidono dunque di andare allo showdown in aula: sarà da vedere poi con quali posizioni sul merito del provvedimento.
Ciò non ha fugato in ogni caso le riserve delle associazioni Lgbti e, in particolare, del Cassero, scottatti dagli atteggiamenti contraddittori, quando non avversi, da parte di consiglieri/e del Pd. Per questo motivo, come già successo l’11 aprile, si terrà il 9 luglio in Regione un presidio.
Invitando sui social alla partecipazione e illustrando le ragioni del presidio, Branà ha chiesto al centrosinistra a non comportarsi come una «brutta copia della destra», anche perché quando lo fa il «popolo ha dimostrato che alle copie preferisce gli originali». Inequivocabile riferimento a Matteo Salvini.
«La legge regionale contro l’omotransnegatività – così il presidente del Cassero – è in questo senso un banco di prova importantissimo: riuscirà la coalizione di centrosinistra a fare l’esatto contrario di quello che vogliono le destre? O, al contrario, offrirà alle destre l’ennesima sponda (con tanto di voti) per affermarsi, anche in questa regione?
Quello che succederà il 9 è al momento tutt’altro che scontato: i tentativi di affossare la legge sono tutti in campo, sono trasversali e prendono forza. L’unico anticorpo a questa dinamica è lo sguardo delle persone, dei cittadini e delle cittadine, a cui gli eletti e le elette devono, volenti o nolenti, rendere conto. Più alta sarà l’attenzione e la partecipazione a questo dibattito, meno scappatoie ci saranno per i giochetti dell’aula.
La nostra presa di parola e i nostri corpi, intesi come presenza, sono protagonisti. “La prima volta fu rivolta” urliamo ai nostri Pride. E la rivolta per noi non è un’ipotesi superata».
Prevedibili come il requiem al termine d’una messa funebre, sono subito arrivate le proteste di Toni Brandi e Jacopo Coghe, rispettivamente presidenti di Pro Vita e Generazione Famiglia nonché presidente e vicepresidente del XIII° Congresso mondiale delle Famiglie, già protagonisti della contro-manifestazione convegnistica dell’11 aprile.
«La comunità Lgbt ordina, il Pd obbedisce? – così in una nota cofirmata –. Dopo quasi tre mesi la legge contro l’omofobia in Emilia-Romagna sarà votata il 9 luglio. Ma quale ‘versione’ del testo verrà discussa è un mistero, pare sia quella base e allora ci risiamo. Ma ci rendiamo conto del pericolo di questo provvedimento?».
Anche perché, secondo i leader di Pro Vita e Generazione Famiglia, «l‘accusa di omofobia è soggetta alla percezione della vittima, quindi è a rischio l’oggettività del reato».
Brandi e Coghe hanno quindi promesso «un’opposizione dura da parte del Congresso delle famiglie, come quella che areno’ il provvedimento in commissione Parità a causa di un emendamento contro l’utero in affitto, che prometteva di non concedere contributi ad associazioni che non lo vietavano».
Ha fatto loro eco Matteo Di Benedetto, responsabile del comitato bolognese di Generazione Famiglia, col dichiarare: «Vogliamo che questa legge ideologica e liberticida non passi. Il suo scopo è dare soldi e uno spazio privilegiato nelle scuole, nei media, nel mondo del lavoro e nella sanità alle associazioni Lgbt, al gender e a ogni istanza connessa, come l’utero in affitto.
A maggior ragione, dopo lo scandalo dei falsi affidi sul nostro territorio, collegati anche a false accuse di omofobia, un’azione del genere sarebbe sintomo di una volontà fortemente totalitaria e indottrinante».