Via libera del presidente del Consiglio Giuseppe Conte, secondo quanto riferito da fonti governative del partito di via Bellerio, al trasferimento di Lorenzo Fontana dal ministero della Famiglia e della Disabilità a quello delle Politiche europee. Dicastero, quest’ultimo, rimasto vacante dall’8 marzo a seguito delle dimissioni dell’indipendente (ma in quota Lega) Paolo Savona, nominato, il 20 marzo, presidente della Consob.
E, mentre Matteo Salvini sembra spingere per altri rimpasti ministeriali (Infrastrutture, Ambiente, Cultura, tutti e tre attualmente in mano ai 5Stelle), a essere certa, al momento, è la casella da occupare alla Famiglia e Disabilità.
Benché non sia escluso che si ricorra nuovamente a un interim del presidente del Consiglio (come successo finora alle Politiche europee), è sempre più insistente la voce della nomina della leghista Manuela Lanzarin, già deputata durante la XVI° legislatura.
Anche perché Salvini vuole tenere ben strette le mani su un dicastero, che è sì senza portafoglio, ma strategicamente necessario tanto al consolidamento dei consensi dell’area cattoconservatrice, gravitante intorno al variegato mondo del Family Day, di Pro Vita, di Generazione Famiglia e non solo (il cui più autorevole esponente in Senato è il condannato Simone Pillon), quanto al ruolo di supporto per il suo propagandismo declamatorio, tra i cui principali cavalli di battaglia c’è appunto la tutela e la promozione della “famiglia naturale” o “tradizionale”. A dispetto, ovviamente, della propria esperienza plurifamiliare, che ha ben poco da spartire con le italiche tradizioni se non con qualche alta figura del Ventennio.
Strappare Lanzarin dall’assessorato ai Servizi sociali con delega alla Sanità in Regione Veneto e trasferirla a Roma significa pertanto assicurare una linea di continuità con l’operato del fedelissimo Fontana. Anche lui veneto, anche lui, come noto, avverso alle istanze delle coppie Lgbti. Quel suo «le famiglie arcobaleno non esistono», all’indomani del giuramento in Quirinale, è la sintesi e la cifra del modo di pensare del cattolico tradizionalista veronese.
A differenza di Fontana la bassanese Manuela Lanzarin è lontana dalle controversie teologiche, che continuano a trascinarsi nella chiesa romana dai tempi del Concilio, e dai défilé carnascialeschi di ecclesiastici che celebrano la messa tridentina. È una donna per altro vicinissima al governatore del Veneto Luca Zaia ed altamente efficiente, alla cui praticità di fondo si accoppia una qual certa asetticità oratoria.
Basti ascoltare il suo intervento al XIII° Congresso mondiale delle Famiglie di Verona per rendersene conto.
Ma è proprio il legame col milieu congressuale scaligero che fa capire chi ci si troverà di fronte al ministero con la sua nomina. Legame che fa da anello conclusivo a una serie di atti e dichirazioni inequivocabili.
Nel novembre 2014, quando era vicesindaca di Rosà (Vi) – di cui era stata precedentemente sindaca dal 2002 al 2012, illustrò in Consiglio comunale la mozione della Lega «a salvaguardia della famiglia, quale nucleo naturale e fondamentale della società fondata sulla unione tra uomo e donna» nei seguenti termini: «La famiglia è una istituzione naturale basata sulla relazione uomo-donna. Oggi assistiamo ad una propaganda, ad azioni, sia nella scuola, che nella politica, vedi i sindaci di Milano e Roma con le iscrizioni delle nozze gay, che cercano di far passare altri modelli.
Noi chiediamo di riconoscere la famiglia tradizionale, il ruolo non dei genitori, ma del padre e della madre, di non seguire il modello di educazione sessuale proposto ai bambini piccoli da una commissione di esperti europei».
Il 30 gennaio 2016 prese parte con la conterranea ed ex missina Elena Donazzan, assessora regionale all’Istruzione, Lavoro e Formazione, al Family Day, indetto al Circo Massimo in occasione dell’arrivo del ddl Cirinnà al Senato per la prima lettura e votazione. In tale periodo si attenne alle posizioni dannatorie di Salvini in materia di unioni civili, condividendo la linea d’un’altra vicentina, oggi ministra degli Affari Regionali e delle Autonomie, ma all’epoca senatrice. Quell’Erika Stefani, cioè, i cui interventi in Aula, durante il dibattito del ddl, saranno particolarmente ricordati per i toni offensivi verso le persone Lgbti. (la stessa che, ieri, ha invece chiesto le dimissioni del sottosegretatio Lgbti-friendly Vincenzo Spadafora a seguito delle dichiarazioni su Salvini).
E quando, dopo l’approvazione e promulgazione della legge il 2 giugno 2016, le sindache leghiste di Musole e Oderzo unirono civilmente, di là a qualche mese, coppie di persone dello stesso sesso, Lanzarin ebbe a commentare: «Se fossi stata sindaco non li avrei sposati. Avrei delegato un funzionario e la legge sarebbe stata ugualmente rispettata».
In un’intervista concessa infine a Notizie Pro Vita, il 19 ottobre 2018, in vista del Congresso di Verona l’assessora ha parlato di famiglia nella sola ottica intesa dagli organizzatori Brandi, Coghe, Gandolfini, dichiarando, sia pur senza attacchi espliciti alle famiglie arcobaleno: «La famiglia, oltre ad essere il contesto degli affetti e della cura e crescita personale, è anche la culla dello sviluppo della società. Realizzare politiche “a misura di famiglia” non può che migliorare tutti gli aspetti e gli ambienti della società più ampia, ad esempio, con efficaci “politiche di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro” che permettano la condivisione del tempo e delle esperienze nella famiglia e tra famiglie».
Un’intervista, in ogni caso (e questo va rilevato), che non ha dovuto proprio soddisfare i vertici di Pro Vita, perché in tema d’interruzione di gravidanza, pur difendendo la mozione anti-abortista veronese, Lanzarin ebbe così a concludere: «Questo tema, ad ogni modo, investe la sfera personale: ritengo che ogni persona debba decidere e rispondere in base alla propria etica e morale».
Se il buongiorno si vede dal mattino, la notizia della nomina dell’ex deputata di Bassano del Grappa a ministra della Famiglia fa ripensare alle battute iniziali del canto popolare: Sul ponte di Bassano là ci darem la mano, là ci darem la mano ed un bacin d’amor. Con la previsione, dati i presupposti accennati, dell’avverarsi delle parole finali: Non posso far di manco di piangere e sospirar. Per la qual cosa, si spera davvero di no.