Il 28 giugno, 50° giorno anniversario dei moti di Stonewall, si è tenuto a Palermo il Pride, che, oltre alla partecipazione del sindaco Leoluca Orlando, ha visto sfilare per le strade del capoluogo siciliano, secondo le stime del comitato organizzatore, 100.000 persone.
La marcia palermitana dell’orgoglio Lgbti ha contato, quest’anno, su due figure d’eccezione nelle vesti di testimonial: l’attrice Pamela Villoresi quale madrina, lo storico attivista Vanni Piccolo quale “madrino“. Termine, quest’ultimo, che, coniato appositamente per l’ex presidente del Circolo di Cultura omosessuale Mario Mieli, ha trovato nel diretto interessato un’entusiasta accoglienza.
Per conoscerne i motivi, ma anche per raccogliere impressioni e valutazioni sulla manifestazione palermitana, abbiamo raggiunto Vanni nella sua abitazione romana.
Vanni, che cosa ha significato per te essere madrino del Palermo Pride?
Essere madrino del Pride di Palermo ha rappresentato per me un’esaltazione emotiva, perché nella parola “madrino” non si racchiude solo il significato di testimonial ma anche il riconoscimento di un impegno che ha tratto dal proprio femminile energia ispirazione tenacia fantasia ribellione rivoluzione favolosità. Ed esserlo nel cinquantenario dei moti di Stonewall mi ha fatto sentire più vicino a quei momenti di coraggiosa rivolta.
Qual è stato per te il momento più coinvolgente della marcia palermitana dell’orgoglio Lgbti?
Un momento molto intenso l’ho vissuto prima che il corteo si muovesse. Un gruppetto di ragazzi sicuramente dei quartieri popolari della città si è presentato davanti a noi gridando con passione: Siamo tutti antifascisti. Istintivamente gridai lo slogan con loro ma nello stesso tempo riflettevo che il Pride non era più nostro: per un attimo mi sono sentito espropriato di un nostro atto di rivendicazione, poi immediatamente mi ha pervaso la pienezza di quello slogan. Non eravamo più soli a reclamare i nostri diritti, i nostri diritti diventavano rivendicazione di tutti. E si mescolavano a un sentimento comune che in quel momento rappresentava la battaglia più importante. L’antifascismo. Antifascismo che avevo respirato a pieni polmoni nell’incontro a Ballarò, nella piazzetta Mediterranea.
E guardai con commozione quello striscione su cui c’era scritto: Favolosamente antifascisti. E ho capito che quello era veramente lo spirito di Stonewall. Lottare tutti insieme contro la prepotenza, contro la repressione, contro la discriminazione, contro l’esclusione sociale.
Il Palermo Pride è stato contrassegnato dalla performance di Massimo Milani sulle scale del Palazzo delle Poste, suscitando reazioni contrapposte. Credi che sia stato colto il messaggio dal contenuto politico lanciato da Massimo?
La performance di Massimo Milani è stata incredibilmente forte, aggressiva, nella seconda parte esaltante. La scalinata delle Poste era, come al solito, strapiena di gente. Massimo aveva iniziato il corteo vestito da gerarca fascista. Nessuno immaginava quello che avrebbe fatto poi. E in quella performance c’era la forza della denuncia contro le politiche del governo, c’era l’uso politico del proprio corpo, c’era la passione della propria lotta, c’era la consapevolezza di essere parte di un momento rivoluzionario collettivo. Io ero vicino a lui e a Luigi Carollo che gli reggeva il microfono. Incredulo e incantato, ho continuato a filmare. All’intonazione di Bella, ciao con il corpo nudo ho sentito un momento catartico che vinceva tutto l’odio, tutto il dolore, la prepotenza, e diventava rabbia lotta rivolta comune.
E il coro unanime del popolo della scalinata mi dà certezza che il messaggio di Massimo è stato colto pienamente.
50 anni dai moti di Stonewall, ricordati anche tramite una diretta New York-Palermo. Per un attivista storico quale Vanni Piccolo come si può incarnare e attualizzare il messaggio di Sylvia, Marsha e di quante e quanti presero parte alla rivolta del Greenwich Village?
Finalmente questa celebrazione dei moti di Stonewall credo abbia fissato nella mente di tutti una narrazione collettiva che serve come memoria di quell’attimo di rivolta, il cui simbolo ormai è un fantastico tacco spillo rosso lanciato contro le forze dell’ordine. Questo racconta anche di favolosità.
Ma la storia di Sylvia Rivera, di Marsha P. Johnson e Stormé DeLarverie non è solo la difficile storia della condizione omosessuale dell’epoca: è anche la storia di emarginazione sociale, di vita di stenti e sacrifici, di frustrazione, di privazioni, di solitudine che in quel locale del Village trovavano rifugio, compagnia, speranza, forse sogni, una tregua che permetteva sguardi battute contatti avventure. In un contesto dove si mischiavano ruoli e percezioni di sé, e che trovava in una rappresentazione femminile una forma di riconoscimento,di identità. Anche di visibilità che la rivolta fa irrompere oltre le pareti protettive dello Stonewall, ed è questo il tratto più significativo della rivolta. Avete il coraggio di uscire fuori, di mostrarsi, di sfidare. Ed è la fine della paura. Che fece scrivere ad Allen Ginsberg: Gli omosessuali non hanno più quello sguardo ferito. E fu orgoglio! E sarà proprio questa rappresentazione che negli anni successivi i movimenti di tutto il mondo faranno propria per iniziare la propria rivoluzione.
Il messaggio di Stonewall credo sia stato interpretato pienamente dal Pride di Palermo che ha rappresentato in maniera coinvolgente il disagio sociale, la questione migranti, insieme alla città il sostegno alle ong che salvano vite nel Mediterraneo e vengono accusate di favoreggiamento dell’immigrazione, trattate come criminali. Oggi l’associazionismo italiano parla di intersezionalità. Credo che sia la strada giusta. È necessaria una lotta comune contro tutte le discriminazioni tutte le ingiustizie tutte le esclusioni. Senza retorica credo sia questo il messaggio di Stonewall. Il Pride che ogni anno celebra il 28 giugno 1969 non può essere una semplice festosa partecipata rappresentazione. Deve far rivivere quel messaggio e quel l’ispirazione che portò ad una rivolta che ha coinvolto tutte le anime del Greenwich Village.
Che cosa porta con sé Vanni da Palermo?
Vanni dal Pride di Palermo porta una valanga di emozioni, che fanno tanto bene al cuore, non solo per l’età, ma anche perché le manifestazioni di affetto riconoscente non sono molto frequenti. Dall’affetto di tutti, di Massimo Milani e di Luigi Carollo con cui ha collaborato al primo Pride di Palermo, all’affetto di nuovi amici, che fanno parte di una squadra fantastica perfettamente sintonica operativa, che nell’impegno politico trovano un magico collante affettivo che rende possibile quel che sembra impossibile e che dalla fragilità riesce ad innalzare pilastri. Grazie a loro è stato possibile l’emozionante collegamento con Stonewall che ha entusiasmato le tantissime persone alla Zisa.
Vanni porta da Palermo la vicinanza di un sindaco che dichiara Palermo isola felice per tutte le minoranza e parla al pubblico con la storica cravatta rainbow del madrino.
Vanni porta da Palermo le immagini delle lacrime di molti giovani durante il suo appassionato intervento e il calore degli abbracci dopo.
Vanni porta da Palermo il sentimento di un Pride meraviglioso in pieno spirito di Stonewall in una città che vive l’evento come proprio, che discute del perché si chiama Pride e non Gay Pride, (altro momento spiazzante per me)fatto da persone che continuano a fare attivismo con la stessa freschezza lo stesso entusiasmo e la stesso amore dell’inizio, riuscendo a fare squadra con i giovani, a coinvolgere una città intera e dare un messaggio forte di essere tutti FAVOLOSAMENTE ANTIFASCISTI.
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