Pugnalata sette volte alla schiena e al viso, quindi strangolata. È morta così la 41enne Yelena Grigoryeva, attivista per i diritti Lgbti, il cui corpo è stato rinvenuto, domenica, nella periferia meridionale di San Pietroburgo.
Elena, che ribadiva orgogliosamente la sua bisessualità, era anche nota per l’impegno a favore di prigionieri politici e per le campagne contro l’annessione della Crimea da parte della Russia e per altre cause.
Secondo l’attivista Dinar Idrisov, Yelena Grigoryeva «è stata brutalmente uccisa vicino a casa sua» venerdì sera. Di recente era stata «vittima di violenze e minacce», per le quali aveva presentato diverse denunce «senza però alcun risultato».
Secondo Fontanka, quotidiano online di San Pietroburgo, sarebbe stato arrestato un uomo sospettatto d’essere l’autore del delitto.
A condannare fermamente l’accaduto, tra gli altri, Yuri Guaiana, senior campaign manager di All Out e presidente di Certi Diritti, che nel postare la notizia su Facebook ha commentato: «Ecco che cosa è la Russia che piace tanto al governo giallo-verde».
Il coordinamento del Tbilisi Pride, che prima della tormentata marcia dell’orgoglio Lgbti aveva partecipato, qualche settimana fa, alle manifestazioni di piazza anti-russe nella capitale georgiana, ha invece scritto: «Rappresentiamo l’indipendenza degli attivisti Lgbtq in Russia, che non si fermano davanti a una situazione pericolosa per la propria vita, reagiscono il sistema e lottano per l’uguaglianza e la libertà».