Col frontman apertamente gay, Hamed Sinno, e testi accattivanti, che affrontano temi sociali e questioni Lgbti, la bandrock Mashrou’ Leila (formata nel 2008 da studenti dell’Università americana di Beirut) si distingue nel panorama musicale del mondo arabo. Ma è anche oggetto di forti contestazioni.
Questa volta il gruppo è accusato di aver violato la sacralità dei simboli cristiani. Cosa che ha spinto, il 22 luglio, l’eparchia cattolico-maronita di Jbeil (città a nord di Beirut conosciuta anche come Byblos e dove il gruppo dovrebbe esibirsi il 9 agosto in un festival locale) a chiedere l’annullamento del concerto, denunciando «gli obiettivi del gruppo e il contenuto delle loro canzoni che, in maggioranza, minano i valori religiosi e umani e attaccano i simboli sacri del cristianesimo».
Come però annunciato ieri sera dal direttore artistico del festival, Naji Baz, è stato alla fine trovato un compromesso dopo un incontro col vescovo di Jbeil, Michel Aoun. «Abbiamo raggiunto un accordo – ha dichiarato – sul fatto che il concerto si svolgerà come previsto, a patto che il gruppo tenga una conferenza stampa nei prossimi giorni».
In questa occasione, i Mashrou’ Leila dovranno scusarsi per due canzoni ritenute un’«offesa alla sacralità dei simboli cristiani». I brani in questione, Idols e Djinn, – ha precisato Baz – non saranno cantati al Festival di Byblos.
All’origine della polemica un articolo condiviso su Facebook nel 2015 da Hamed Sinno con tanto d’immagine del volto di un’immagine mariana sostituito da quello della popstar americana Madonna.
Da lì è partita la campagna di boicottaggio, promossa da un gruppo Facebook, chiamato Jund al Rab (L’Esercito del Signore), che ha iniziato a rilanciare contenuti dei Mashrou’ Leila ritenuti offensivi per la religione cristiana.
Il link incriminato è stato poi rimosso dai social, come dichiarato dalla Sicurezza interna libanese, la quale avrebbe addirittura avviato un’indagine, secondo quanto riferito dallo stesso Hamed Sinno a Middle East Eye.
In ogni caso, i Mashrou’ Leila hanno precisato, in una nota del 23 luglio, di aver «rispettato tutte le religioni e i loro simboli», contestando «la distorsione dei testi di alcune canzoni in una con false dichiarazioni». Nello stesso comunicato la band ha dichiarato: «Siamo quattro ragazzi libanesi che hanno background culturali e fedi diverse, uniti dal nostro amore per la musica, esploso mentre studiavamo architettura all’American University di Beirut. Vogliamo solo solo promuovere l’arte, nel rispetto di tutte le fedi, e portare in alto il nome del Libano».
A offrire particolari preziosi sulle proteste d’area cristiana e sulle minacce, rivolte alla rockband, Lorenzo Forlani, corrispondente dell’Agi a Beirut, che ha scritto: «”Mi rivolgo ai figli di Byblos e del Libano, invitandoli a boicottare il concerto dei Mashrou’ Leila, che può diffondere promiscuità, corruzione, e viola tutto ciò che di sacro abbiamo”, ha dichiarato in un post sui social media un famoso prete dell’antica città fenicia, padre Camille Moubarak. Si è spinto oltre un altro religioso, padre Abdo Abu Kasm, che ha dichiarato di esser disposto a portare la questione davanti ai giudici. “Questo concerto pone dei rischi per la nostra comunità”, le sue parole all’emittente radio Voice of Lebanon.
Non sono mancate le minacce dirette e indirette – i membri della band vivono in Libano, mentre il frontman risiede a New York -, come quella del vlogger Philippe Seif, vicino al partito di destra nazionalista dei Falangisti, il quale in un post ha affermato che “dovremmo rompergli le gambe prima che possano salire sul palco a Byblos“».
I Mashrou’ Leila non sono nuovi a vicende del genere. Dopo un concerto in Egitto nel 2017, durante il quale alcune persone avevano sventolato la bandiera arcobaleno, le autorità avevano lanciato un’ondata di repressione contro la collettività Lgbti con arresti a catena. In Giordania, invece, i loro concerti sono stati cancellati nel 2016 e nel 2017, a seguito delle proteste di parlamentari conservatori.