Quello del 16 agosto è il 123° attacco dell’amministrazione Trump alle persone Lgbtq. Attacco, che, relativo alle tutele per donne e uomini transgender, è stato definito da Glaad «vergognoso» e con «implicazioni tali da incidere sulla vita delle persone Lgbtq a livello nazionale».
Venerdì, infatti, l’avvocato generale degli Stati Uniti Noel Francisco ha presentato ricorso (18-107) alla Corte Suprema contro la sentenza della Corte d’Appello del 6° Circuito, che, il 7 marzo 2018, aveva stabilito la violazione del Titolo VII° del Civil Rights Act da parte della R.G. & G.R. Harris Funeral Homes.
Al centro del ricorso il caso di Aimee Stephens, donna transgender, che nel 2013 era stata licenziata da Thomas Rost, proprietario dell’agenzia di onoranze funebri di Detroit, dopo avergli rivelato, con lettera del 31 luglio, la volontà di iniziare il percorso di transizione e sottoporsi a intervento di riattribuzione chirurgica del sesso.
Dopo sette anni di lavoro come Funeral Director, Stephens è stata messa dalla porta da Rost, fervente cristiano evangelicale, perché, iniziando a indossare abiti da donna, avrebbe violato il codice di abbigliamento.
Da qui l’inizio di un lungo procedimento giudiziario, che sembrava essersi concluso, lo scorso anno, con la sentenza della giudice Karen Nelson, che, in 49 pagine, aveva stabilito come i fatti mostrassero «inconfutabilmente che la casa di pompe funebri ha licenziato Stephens perché la donna rifiutava di volersi conformare agli stereotipi di genere del suo datore di lavoro».
A riaprire, venerdì, il caso la Casa Bianca, il cui intento è quello di escludere dalle tutele del Civil Rights Act lavoratrici e lavoratori transgender sulla base di quanto stabilito dall’ex ministro trumpiano della Giustizia Jeff Sessions.
Nel ricorrere al massimo organo giudiziario statunitense il Dipartimento della Giustizia Usa ha argomentato che il titolo VII° della legge sui diritti civili «non proibisce le discriminazioni contro le persone transgender» sul posto di lavoro ma solo tra uomini e donne. Essendo stato promulgato nel 1964, il Civil Rights Act vieterebbe, secondo il procuratore generale, le discriminazione in base al «sesso biologico» e non a «quello che si vuole acquisire».
«Nel 1964 – si legge nel ricorso – il significato comune pubblico di ‘sesso’ era ‘sesso biologico’ e non contemplava lo status transgender». L’obiettivo del Titolo VII° era dunque eliminare «il trattamento diseguale tra uomini e donne sul posto di lavoro».
Schierandosi accanto alla R.G. & G.R. Harris Funeral Homes e sposando dunque le tesi di gruppi cristiani conservatori, Trump ritiene che sostenere una diversa interpretazione del Titolo VII° significherebbe riscrivere interamente la legge. Cosa che solo il Congresso può fare e non i tribunali. Adesso la palla passa alla Corte Suprema: data fissata l’8 ottobre. Si starà a vedere.