Cantautore, vocal coach, speaker e autore radiofonico, Cosimo Morleo ha pubblicato negli scorsi mesi il suo terzo album intitolato Logos. In qualità di compositore di colonne sonore, collabora con il regista Jo Coda e il coreografo Paolo Mohovich.
A lui si deve la prima rassegna di videoclip italiani contro omofobia e bullismo che, realizzata in collaborazione con Indie Pride, è stata presentata in diversi festival a tematica Lgbt. Tra i suoi ultimi videoclip Metamorfosi, omaggio a Lindsay Kemp.
Con lui abbiamo parlato del ruolo della musica nella vita del movimento Lgbt a partire da quelli che ne furono gli inizi.
1969 anno dei moti di Stonewall. Quale era la musica di allora più ascoltata negli Usa e in Italia dalle persone Lgbt?
Il 1969 è l’anno di Woodstock e di artisti come Led Zeppelin, King Crimson, Rolling Stones, Frank Zappa, Joni Mitchell, David Bowie, Elton John, solo per citarne alcuni, e dell’addio alle scene dei Beatles. Mentre in Italia, sull’onda del movimento pacifista e delle contestazioni studentesche e operaie, Patty Pravo cantava in Tripoli 1969: «Ogni uomo senza battaglie non può sentirsi un uomo». Ma già nel ’67 I Giganti, in Teorema, cantavano: «Mettete dei fiori nei vostri cannoni», diventato uno slogan ancora oggi in uso.
Negli Stati Uniti il tema dei diritti per gli afroamericani era chiaramente in primo piano, ma quella rivoluzione culturale e sociale senza precedenti ha permesso anche alla comunità Lgbt di avviare, dopo i moti di Stonewall, la lunga battaglia per l’autodeterminazione che ha portato a numerose conquiste e che ancora oggi continua.
I ‘70 sono stati anni di grandi sommovimenti e manifestazioni di piazza: ci sono brani che hanno destato l’interesse e caratterizzato quegli eventi, sostenendo anche le persone Lgbt ancora pressocché invisibili?
Negli anni ’70 è nata la disco-music, genere che rappresentava perfettamente la voglia di trasgressione, una sensualità vissuta senza più inibizioni attraverso il ballo, atto liberatorio primordiale. Lo Studio 54 di New York fu forse il luogo più rappresentativo di questo fenomeno. Penso ad artisti come Bee Gees, Village People, Diana Ross, Sylvester, Chic. Anni complessi, di lotta per i diritti ma anche del terrorismo, che dovevano essere esorcizzati in qualche modo. Sotto questo punto di vista la musica ha saputo farlo molto bene, creando i necessari spazi di evasione e divertimento.
I primi anni ’80 vedono l’esplodere dell’Aids, che colpisce particolarmente le persone Gbt. Come si è posto il mondo della musica anche di fronte allo stigma sierofobico e al silenzio diffuso delle istituzioni?
Negli anni ’80 la pandemia dell’Aids colpì duramente la comunità Lgbt: l’opinione pubblica era terrorizzata dal possibile contagio intorno a cui ancora c’era molta ignoranza. La narrazione di quel clima di discriminazione nella discriminazione la ritroviamo in film come Philadelphia (che è del 1993) con Tom Hanks e Antonio Banderas e l’omonima canzone di Springsteen nella colonna sonora o Amici, complici, amanti di Paul Bogart (1988).
Gli anni ‘80 però sono stati musicalmente anche molto interessanti. Il pop di quel periodo, con la nascita di Mtv e la diffusione dei videoclip, ha creato vere e proprie icone (penso ad artiste come Madonna o Cher), ma anche dato spazio a gruppi che hanno prodotto brani molto noti alla comunità Lgbt. Per citarne alcuni, Frankie Goes to Hollywood, Bronski Beat, Culture Club, Psychedelic Furs, Soft Cell, Erasure.
Negli anni ’90 l’Italia vede iniziare la prima stagione dei Pride, in cui la musica e il ballo sono elementi fortemente caratterizzanti. Se dovessi pensare a brani, che più di altri hanno accompagnato le marce dell’orgoglio, quali indicheresti?
Ovviamente, benché spesso passi in secondo piano, la musica ha avuto e ha ancora un ruolo fondamentale per la storia del movimento, dell’identificazione con la comunità. Provate a immaginare un Pride senza musica. Ne cito alcuni: We are Family delle Sister Sledge, I will survive di Gloria Gaynor, I want to break free dei Queen. E, poi, artisti come George Michael con Outside. Ma penso anche, in riferimento all’ambito italiano, al repertorio svagato e nazional popolare di Raffaella Carrà.
Il 2000 è l’anno del WorldPride di Roma, che nel 2011 ospita l’Europride. Inizia a strutturarsi in Italia l’Onda Pride con oltre 40 città coinvolte. In questi due decenni cosa c’è di nuovo e cosa resta del più antico nel repertorio delle marce dell’orgoglio?
Penso a Lady Gaga, che ha lavorato molto bene sulla sua immagine, come fece a suo tempo Madonna, anche se tra le due, a mio avviso, ci sono notevoli differenze, sicuramente per qualità e quantità di repertorio. Il modo di fruire e produrre musica è cambiato e sta cambiando ancora, molto rapidamente. Oggi è più difficile creare fenomeni di questo tipo: il mondo del video-clip si è spostato sul web e, al di là dei milioni di visualizzazioni, senza quella popolari, che solo la tv ha saputo dare, si fatica a trovare nuove hit universali.
Volendo fare una panoramica conclusiva, nella storia della musica italiana degli ultimi 50 anni ci sono brani che hanno cantato l’omosessualità in forma nascosta o camuffata?
Più che altro parlerei di artisti che hanno nascosto il proprio orientamento sessuale per diversi motivi. Le ragioni sono diverse e non è questa la sede per indagarle approfonditamente. E, forse, non è neppure così importante. Oggi i tempi sono cambiati e artisti, anche di grande visibilità, non hanno problemi a parlarne apertamente. Per l’Italia penso, soprattutto a Tiziano Ferro.