Che cos’è il desiderio? È una domanda che schiude una foresta di emozioni, sensazioni e riflessioni, raccontate in un libro da regalare e da regalarsi per questo ultimo scorcio d’estate.
Dopo le numerose pubblicazioni a tematica Lgbti, tra cui ricordiamo Evviva la Neve(2010) e L’Amore secondo noi (2005), Delia Vaccarello non necessita di presentazioni. Il suo impegno costante di giornalista e scrittrice, iniziato con la rubrica Liberi Tutti su L’Unità alla fine degli anni ’90, rappresenta una pietra miliare nella letteratura arcobaleno in Italia.
Con Desiderio, edito per i tipi catanesi Villaggio Maori, Vaccarello va oltre. In questa originale raccolta di racconti il tema Lgbti incontra le sue origini e al tempo stesso il suo futuro, in un testo che trova il suo baricentro in qualcosa che abita l’esistenza di ogni persona. Racconti di Eros, Segreti, Bugie, recita il sottotitolo. Racconti di persone di ogni orientamento e identità, in cui l’elemento identitario non occupa la scena, ma interviene come variabile di un continuum di esperienze, passioni e pulsioni.
Desiderio è un libro che fa ripensare alla migliore tradizione dell’ermeneutica filosofica. Non è un testo che intrattiene, che dà risposte o certezze. È un testo che pone domande, naviga nelle inquietudini e, soprattutto, vive insieme a chi legge. È un viaggio. E il viaggio di ogni persona non sarà mai uguale a quello delle gli altre. Un viaggio impegnativo che ci porta direttamente a dialogare con i personaggi, subendo in qualche modo le loro avventure e venendo trascinati fuori dalle nostre confort zone.
Nel primo racconto, La donna del lago, l’esperienza di una madre che vive un rapporto inaspettato e fugace con un uomo sconosciuto si trasforma improvvisamente in uno slancio vitale che la riconnette intimamente alle figlie. In Non guardarmi, ci confrontiamo con le alchimie di una relazione che fugge la quotidianità e la vicinanza, al punto che una delle protagoniste rifiuta persino di essere “intrappolata” in una foto: “Lucia – dice Stephen – il mio desiderio non ha regole, è la mia libertà, non decido io, viene a bussare alla mia porta senza preavviso e fugge ogni abitudine”.
In Chi è, dimmi chi è, il dialogo tra madre e figlia si impadronisce della trama fino a rovesciare ogni attesa. E’ la madre, infatti, ad essere condizionata dalle vicende della figlia, in un percorso che la porterà a riflettere sulla propria vita e sul proprio rapporto con l’ex marito: “Ti sei mai domandato – le chiede – cosa significhi essere etero? Ti sei mai chiesto se lo sei veramente, oppure se lo siamo tutti perché educati così, fino a quando non irrompe nella nostra vita l’inaspettato?”.
La capacità descrittiva dell’autrice ci consente di percepire le sfumature emotive, i ragionamenti più intricati, i complessi e i tabù più nascosti. Alcune immagini narrative si pongono in una terra di confine tra prosa e poesia, come in Respiro.
Nei racconti di Vaccarello amore e desiderio sembrano a volte contrapporsi, in alcuni casi quasi lottare, nella continua ricerca di qualcosa. Il punto è che il desiderio non ha un oggetto. Il desiderio è slancio vitale, che può anche diventare mortifero. Rappresentativa, in tal senso, è l’immagine del lago data nel primo racconto: il lago è fonte di vita per i cuccioli di gatto che ricevono cibo dai pescatori. Ma quando una gatta fa troppi cuccioli, questi vengono affogati nello stesso lago, dagli stessi pescatori.
Perché, ci si potrebbe chiedere? Una possibile risposta sta forse nell’ultimo racconto Luna Rossa ed è connessa al tema del dolore. “Il dolore dell’altro è una porta da varcare. Quando la oltrepassi si apre una dimensione che prima, a guardare l’altro da fuori, restava inespressa. Quante volte, visto da fuori, l’altro è un grumo di piombo, un cassetto che inzeppiamo di richieste e risentimenti. Come se la vita non fosse fatta anche di dolore. Il dolore è viatico al resto, al non dolore, ti aiuta a parlare con la paura […]”.
L’indifferenza al dolore e alla sofferenza sono un punto cruciale, che viene espresso anche attraverso la metafora della “corsa dei ciechi”. Chi partecipa a questa corsa vede solo “le cose” e può anche decidere di “sterminare gli esseri cose”, tornando poi teneramente ad abbracciare il nipotino a casa. Il tema della cosificazione ci riporta anche ad un altro dei racconti, Puttana, dove l’autrice sembra chiedersi tra le righe cosa significhino realmente gli aggettivi“maschio”, “virile” o “maschile”. Ciò che risulta ancor più originale, è il fatto che tutto questo avvenga da un punto di vista femminile. In una società in cui l’immaginario collettivo lega l’erotismo, la sessualità e il desiderio a rappresentazioni tipicamente maschili (e maschiliste), questa narrazione assume un valore prezioso.
E così l’autrice si tuffa con estrema disinvoltura nell’immaginario sessuale e pornografico degli uomini eterosessuali, in maniera esplicita ma mai fine a sé stessa, con l’obiettivo di esplorarne le contraddizioni. I due protagonisti, Giulio e lo stupratore, pur non interagendo tra loro, sembrano voler rappresentare due possibili “risultati” della cultura maschilista e patriarcale. Da un lato un uomo con grande passione per le donne, descritto come persona di animo buono, socialmente impegnata, con una serie di comportamenti tali da non accorgersi tuttavia dell’insoddisfazione sessuale e relazionale della moglie e che non esita a mettere in imbarazzo le colleghe con sguardi e atteggiamenti ai limiti del me too.
Dall’altro lato c’è lo stupratore seriale vicino agli ambienti dell’estrema destra, che si profonde in un monologo che meriterebbe un trattato a sé stante. Tra gli aspetti principali emerge che il maschilismo e la violenza si nutrono della parola, specie se questa viene dal discorso politico: esemplare, in questo senso, un passaggio in cui lo stupratore afferma che farà “come quel politico che ha messo la bambola gonfiabile sul palco. Gli altri chiacchierano, io agisco”. Ogni riferimento è puramente casuale. Tuttavia, anche lo stupratore rappresenta uno dei volti del desiderio.
Ed è qui, che tra le righe profonde di questi racconti, che emerge un filo rosso che ci riporta alla radice del pregiudizio. La messa in discussione delle certezze anima queste narrazioni. Prima ancora del pregiudizio, potremmo dire che tutto ciò che è connesso al “giudizio” in sé, è una limitazione del desiderio, uno stabilire dei contorni. Il problema è quando questi contorni si solidificano e diventano muri sordi e invalicabili, quel momento in cui si passa dal giudizio al “pre-giudizio”, dalla limitazione alla negazione del desiderio. Dalla comunicazione alla menzogna e all’ipocrisia. La negazione del desiderio viene dall’indifferenza al dolore, la riproduce e se ne nutre. A quel punto il desiderio, inarrestabile quale è, diventa slancio di morte e alfiere del pregiudizio.
Attribuiamo spesso il discorso d’odio al pregiudizio, annoverandolo tra le cause principali. Ma cos’è il pregiudizio se non negazione del desiderio, che attraverso le parole d’odio trasforma tutto in “cosa” e ignora il dolore? E cos’è il maschilismo se non cultura del possesso di una “cosa” e cultura dell’amore come possesso? Se il giudizio individua gli oggetti, il pregiudizio li trasforma in semplice “cose”, di qualsiasi cosa si tratti. Dall’altra parte c’è chi prova ad ascoltare questo dolore, senza tuttavia alcuna certezza, se non quella di aprirsi alla vita e all’ignoto. Non c’è una morale o una rassicurazione finale, se non l’appello contro la sofferenza del vivente e contro lo specismo che ci porta ad ignorare il dolore degli animali non umani. L’autrice ci ricorda in ogni luogo il desiderio è una tensione da abitare continuamente, quasi da esercitare, senza scorciatoie o libretti di istruzioni. Il limite va sempre messo in discussione, affinché non diventi muro. Lo stesso vale nella lotta al pregiudizio: non può mai dirsi conclusa, perché la differenza tra contorno e barriera, è sempre labile e soggetta al divenire.
Come ci conosciamo, desideriamo, amiamo, lasciamo. Come ci ascoltiamo. Come raccontiamo alle nuove generazioni il desiderio, le relazioni e la sessualità. Sono queste le domande aperte che si pongono per chi accetta la sfida del desiderio e dell’ascolto. Ed è in questo senso che il tema Lgbti trova il proprio passato e il proprio futuro. Un passato legato al grande movimento di liberazione sessuale, da condividere con l’eredità femminista.
Un futuro che ci impone di superare la prospettiva identitaria ed esplorare i luoghi, gli spazi e soprattutto le relazioni che grazie a questa rivoluzione si sono create. Spazi che vanno presidiati ed estesi per far fronte all’insidioso ritorno di una cultura di odio, possesso e morte. E si tratta di compito che non può fare a meno di un approccio nuovo, capace di rimettere al centro lo slancio vitale al di là dei cerimoniali. Una vera e propria politica del desiderio.