Non si placa la polemica in Argentina per il caso della 36enne Mónica Mego, donna trans peruviana, che, entrata in prigione lo scorso anno, è attualmente costretta a letto, paraplegica, in un ospedale di La Plata.
In maggio Monica ha denunciato il Servizio penitenziario di Buenos Aires (Spb) per tortura. Ma solo il 5 luglio scorso il suo esposto è arrivato all’ufficio del procuratore generale di La Plata. In un paio di fogli la 36enne ha raccontato come la sua vita sia crollata in meno di un anno, dal momento che è stata reclusa nella struttura Roberto Pettinato a Lisandro Olmos.
Nell’ottobre 2018 ha iniziato ad avvertire dolori renali in una con la progressiva formazione di un rigonfiamento. L’unica attenzione da parte degli agenti dello Spb consisteva nella somministrazione di ibuprofene nonostante le avessero promesso di portarla in ospedale per le cure necessarie
Quando è stata trasferita nell’Unità penale 32 di Florencio Varela, Monica non riusciva quasi più a camminare. Le compagne di padiglione hanno allora iniziato uno sciopero della fame per chiederne il trasferimento in ospedale. Per tutta risposta gli agenti penitenziari l’hanno posta per ore in una cella di isolamento. Il 21 maggio il crollo totale con incapacità piena di alzarsi da terra, dopo essersi accasciata.
Il giorno seguente è stata infine operata all’ospedale San Martín de La Plata. Il rigonfiamento precedentemente notato era un ascesso epidurale dovuto a tubercolosi non curata. Quando ha lasciato la sala operatoria, i medici le hanno detto che non avrebbe più camminato e che avrebbe dovuto vivere il resto della vita con pannolini e catetere.
Ma il calvario di Monica era ben lontano dall’essere terminato. Riportata giorni dopo nella struttura di reclusione provvisoria di Olmos, è stata abbandonata su un letto senza rotazione con la conseguente formazione di piaghe da decubito e l’esposizione a più infezioni. Qui è stata visitata da Mario Coriolano, avvocato di Cassazione, a seguito di una richiesta del Comitato nazionale per la prevenzione della tortura (Cnpt).
Successivamente la Commissione Provinciale per la Memoria (Cpm), il Cnpt e il vicario episcopale per la Solidarietà della diocesi di Quilmes sono arrivati fino alla procura generale della Provincia di Buenos Aires.
La vicenda di Monica ha suscitato un tale scandalo in Argentina da spingere la Corte Suprema di Giustizia a intervenire anche perché sono sempre più insistenti le accuse da parte di associazioni e media nei riguardi dei vertici della Provincia di Buenos Aires, che avrebbe fatto di tutto perché non si indagasse al riguardo.
Giovedì 30 agosto Eduardo de Lázzari, presidente della Cassazione, ha firmato un provvedimento con cui ha investito direttamente del caso direttamente il procuratore generale Julio Conte Grand. Gli ha chiesto di informarlo perché non fosse stata prestata immediata attenzione alle denuncia presentata da Monica dall’ospedale. De Lázzari ha fatto poi appello tutte le autorità coinvolte nel caso a non ostacolare l’azione dei difensori dei diritti umani.
In tutto questo Monica è ancora in stato di detenzione carceraria presso l’ospedale San Juan de Dios di La Plata. Le organizzazioni che seguono il suo caso ne hanno però già chiesto il trasferimento al nosocomio El Dique di Ensenada, essendo un centro medico attrezzato alla cura di disturbi cronici.
Durissimo Ignacio Di Giano, direttore del Programma di accettazione dei reclami del Cpm, che ha dichiarato: «È necessario che tali situazioni non si ripetano più. La risposta dello Stato a Monica deve essere risarcitoria. Questa ragazza è entrata in carcere camminando. Al massimo, nel futuro, potrà muoversi su una sedia a rotelle».