A cura di Roberto Dartenuc
È una bella giornata a Belgrado, il sole splende, la temperatura è gradevole, le persone passeggiano noncuranti dei primi manifestanti che stanno raggiungendo il punto di concentrazione nei pressi dell’hotel Hilton.
Oggi è Pride a Belgrado, un pride ancora timido, intimo (alla fine si conteranno circa 2000 persone), spostato in avanti quasi alla fine dell’estate, per dissapori tra le associazioni locali come mi dicono alcuni attivisti.
All’improvviso tra i manifestanti compare, tra due ali di bodyguards, la prima ministra della Repubblica Serba, la Presidente del Consiglio Ana Brnabić, lesbica dichiarata. Mi meraviglio della non reazione dei presenti: mi spiegano non essere particolarmente amata dalla comunità per la sua inazione nei confronti della stessa. Rimane pochi minuti, ignorata dai più, non parla dall’unico carro presente dove, nel frattempo, si susseguono interventi per ricordare la storia dei primi pride belgradesi fatti di scontri prima con la polizia e poi con contromanifestanti, con tanto di feriti e morti (questi ultimi non direttamente durante i primi pride ma correlati).
Oggi, fortunatamente e grazie alla perseveranza della comunità Lgbt serba, Belgrado può porsi l’obiettivo di raggiungere quel clima di festa e serenità delle altre città europee e candidarsi ad ospitare l’EuroPride 2022, che segnerebbe certamente una svolta nel contesto balcanico.
A metà del percorso, tuttavia, una contromanifestazione di fascisti, supportati da bandiere nazionali e immagini sacre di santi e re, persino croci cristiane ortodosse, lambisce il corteo festoso del pride, scandendo slogan nazisti. Un cordone impressionante di polizia in tenuta da guerra (sì guerra, non antisommossa) impedisce qualunque contatto fisico e quindi anche il peggio.
È il tramonto. Il corteo ha raggiunto la sua destinazione finale: un parco cittadino dove la serata passa tra musica, panini, birra con la speranza, tra i presenti, di vedere nelle proprie strade la rassegna europea arcobaleno nel 2022.
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