Sette anni dopo le massiccie mobilitazioni contro la legge che legalizzava il matrimonio egualitario in Francia, è partito alle 13:00 da place Edmund Rostand a Parigi il corteo contro l’estensione della pma alle coppie lesbiche e alle donne single. Approvato il 27 settembre dall’Assemblea nazionale, il 1° articolo del disegno di legge sulla bioetica inizierà a essere discusso presso la Commissione speciale in Senato a partire dal 15 ottobre.
Per questo motivo il collettivo Marchon enfants, che raccoglie 22 associazioni, tra cui La Manif pour tous, è riuscito a radunare poco più di 10.000 persone al grido di Contre la pma sans père et la gpa (Contro la pma senza padre e la gpa, ndr) per le vie della capitale francese.
Presenti anche gli italiani di Pro Vita & Famiglia con Jacopo Coghe, vicepresidente del Congresso di Verona, che ha dichiarato: «La proposta di legge francese sulla pma è discriminatoria e contro la tutela del minore».
In ogni caso, per quanto significativo, il numero odierno è sideralmente inferiore rispetto a quello delle accennate mobilitazioni contro la legge Taubira, che, nella sola giornata del 30 gennaio 2013, riuscì a raccogliere 340.000 persone secondo la polizia e 1.400.000 secondo gli organizzatori.
Ma la situazione è completamente diversa rispetto ad allora.
I cortei di sette-otto anni fa furono anche un mezzo per ricompattare le destre contro François Hollande e le sue politiche considerate anti-familgia. Ciò ha portato all’assenza di figure di spicco della destra francese, come gli allora presidenti del Senato Gérard Larcher e dell’allora sindaco di Puy-en-Velay (attualmente presidente del Consiglio regionale di Alvernia-Rodano-Alpi) Laurent Wauquiez, che furono invece alla testa di quelle mobilitazioni.
Inoltre la maggioranza dei francesi sostiene, con un livello record, l’apertura della pma alle donne single (68%) e alle donne lesbiche (65%).
La Conferenza episcopale, infine, ha adottato sorprendentemente una posizione mediana, preferendo non mobilitare i cattolici alla partecipazione. Il presidente Éric de Moulins-Beaufort, arcivescovo di Reims, si è limitato a dire che erano liberi di farlo se ritenevano che ciò «sia un modo utile per essere ascoltati».