Con ordinanza del 15 ottobre il Tribunale di Piacenza ha rigettato il ricorso presentato da due coppie di donne, cui l’Ufficiale di Stato Civile del Comune del capoluogo aveva opposto il rifiuto di registare il riconoscimento dei bambini, nati con tecnica di fecondazione assistita, dalle rispettive madri non biologiche.
Una delle due coppie, formata da Sara e Irene (unite civilmente) e seguita dall’avvocato Alexander Schuster, aveva fatto parlare di sé per aver sollevato l’attenzione sulla pretesa da parte del Comune di registrare la piccola, venuta alla luce a Piacenza il 24 luglio 2018, quale figlia di padre anonimo. Pretesa basata sul diniego di formare un atto di nascita attestante che la bambina era nata da fecondazione assistita, effettuata in Spagna col consenso di entrambe le donne.
Sara, la madre biologica, aveva allora deciso di cedere e dichiarare il falso per non lasciare la piccola in una sorta di limbo identitario, salvo poi ad autodenunciarsi, il 21 agosto 2018, per falso in atto pubblico.
Nonostante una tale iniziativa, subito definita da Schuster quale «tentativo di denunciare dall’interno il sistema, le sue contraddizioni e le assurdità», il Tribunale ha invece riconosciuto legittimo il rifiuto dell’Ufficiale di Stato civile a ricevere il riconoscimento di entrambe le donne, tanto nel caso di Sara e Irene, quanto in quello dell’altra coppia, fra l’altro non unita civilmente.
Sono state ritenute inapplicabili sia la disciplina codicistica di riconoscimento della filiazione naturale sia le normative della legge 40/2004 in materia di procreazione assistita sia la legge 76 del 2016 (la cosiddetta Cirinnà), che regolamenta l’unione civile tra persone dello stesso sesso.
Come si legge nel comunicato ufficiale del Comune, retto dall’amministrazione di centro-destra Barbieri, «l’ordinanza dell’Autorità Giudiziaria richiama, in particolare, la sentenza 12193 del 2019, emessa dalle Sezioni unite della Cassazione, che sancisce come “principio di ordine pubblico” il divieto di ricorrere alla procreazione medicalmente assistita da parte di coppie omosessuali, ribadendo inoltre come la stessa legge 76 del 2016 escluda che le norme del codice civile inerenti alla filiazione si applichino alle unioni civili tra persone dello stesso sesso.
Nell’evidenziare che l’interesse del minore alla bigenitorialità può essere tutelato con altri strumenti legali – come l’adozione, in casi particolari specificati all’articolo 44 della legge 184/1993 – il Tribunale di Piacenza ha stabilito che nessuna norma attualmente in vigore consente, a una donna, di riconoscere come proprio il figlio già riconosciuto dalla madre biologica. Di qui la legittimità del rifiuto, da parte dell’Ufficiale di Stato Civile del Comune, a redigere un atto di nascita in tal senso».