S’intitola La Revolución il dipinto che, realizzato nel 2014 dal pittore Fabián Chairéz, raffigura Emiliano Zapata Salazar con corpo femminile nudo, scarpe con tacco a spillo e sombrero rosa su un cavallo bianco. Ma l’opera, esposta al Palazzo delle Belle Arti di Città del Messico nell’ambito della mostra Emiliano: Zapata después de Zapata, è al centro di una vera e propria battaglia tra gli eredi del Caudillo del Sur, l’artista e la comunità Lgbti.
Al grido di: «Lo bruciamo», ieri cento manifestanti hanno fatto irruzione nel Palazzo delle Belle Arti e minacciato di sparare contro il dipinto, considerato un’offesa al campesino dello Stato di Morelos, che è venerato come la figura principale della Rivoluzione messicana iniziata nel 1910.
Rimasti diverse ore davanti al museo scandendo slogan omofobi e assicurando che sarebbero tornati lì ogni giorno, sono poi entrati in colluttazione con un gruppo di contro-manifestanti Lgbti precipitatisi sul posto.
«Sono abbastanza sorpreso – ha commentato Chairéz – da questa dimostrazione violenta. Perché quella femminile è un’offesa?».
A far infuriare maggiormente gli eredi di Zapata la scelta, da parte della Secretaría de Cultura del Governo federale, di utilizzare La Revolución come immagine per la locandina promozionale della mostra.
Allestita per commemorare il 1° centenario della morte dell’eroe della Rivoluzione messicana, ucciso il 10 aprile 1919 dal generale costituzionalista Jesús María Guajardo Martínez, e aperta fino al 16 febbraio 2020, essa si compone di 141 opere sul Caudillo del Sur, provenienti da oltre 70 collezioni nazionali e internazionali.
Ieri Jorge Zapata, nipote di Emilianio, ha annunciato che avrebbe fatto causa al pittore e all’Istituto nazionale di Belle Arti.