Si è svolto a Bari il 6-7 dicembre il convegno Aspetti istituzionali, sanitari e buone prassi nella presa in carico delle persone transgender/gender non conforming, organizzato dall’Università di Bari in collaborazione con l’Onig, che ha rinnovato le cariche all’interno dei lavori.
L’Onig, ossia Osservatorio Nazionale Identità di Genere, raggruppa a livello nazionale esperti di diversi campi, da quello psicologo a quello psichiatrico, da quello endocrinologico a quello chirurgico e legale, e vede la partecipazione di rappresentanti dell’associazionismo T. Ha come scopo quello di coordinare i centri di riferimento regionali previsti dalla legge 164 in materia di percorsi per la disforia di genere, o meglio l’incongruenza di genere.
Casuale o meno, la location di Bari ha assunto una simbologia importante, in quanto da circa un anno non funziona più il centro di consulenza psicologica dedicato alle persone T che intendano iniziare un percorso di transizione, o una terapia ormonale o che semplicemente abbiano bisogno di un supporto per quanto riguarda la propria identità.
Le associazioni Lgbtqi hanno protestato, manifestato, chiesto incontri ma la Regione Puglia – governatore Emiliano – non ha ancora trovato una soluzione di carattere economico per garantire il servizio all’Interno del Policlinico universitario di Bari. E nemmeno gli interventi di apertura del convegno da parte di rappresentanti del Policlinico stesso e dell’amministrazione della Regione, hanno offerto spiragli concreti in questo senso. Almeno per il momento, ma gli e le attiviste presenti – di cui una buona parte giovani – non demorderanno e continueranno a impegnarsi per i loro diritti, così hanno dichiarato.
Vi sono stati nelle sessioni di lavoro interventi molto interessanti, altri più descrittivi della attività dei diversi centri. Quello che è mancato è l’audacia, il voler mettere in discussione qualche certezza, il far emergere le criticità, e soprattutto l’affrontare il presente. Un presente che vede da parte delle persone T e gender non conforming il doversi sottomettere a una legge in parte superata, e il rivendicare una percezione identitaria meno fissata, meno binaria che nel passato.
Si potrebbe dire che è in corso una trasformazione – tutta da capire, interpretare e declinare – che pare spaventare la comunità scientifica e accademica in una parte consistente della sua composizione. E, questo, nonostante il continuo richiamo alla realtà da parte delle persone T presenti al convegno, che hanno parlato anche di poco coraggio nel prendere posizioni pubbliche di fronte ad attacchi pesanti da parte della stampa, come nel caso dei bloccanti per i minori.
Oggi regna una grande confusione sotto il cielo, dovuta a molteplici fattori. Alla disparità dei finanziamenti e di impegno delle Regioni nell’uniformare i servizi, alla differenza di durata e di costo del percorso psicologico necessario per arrivare alla perizia richiesta dai tribunali, obbligatoria per ottenere l’autorizzazione anche solo per il cambio anagrafico oltre che alla chirurgia, alla difficoltà nel reperimento e al costo elevato di farmaci determinanti per la transizione e via dicendo. La criticità e non trasparenza ovviamente facilitano le scorciatoie che non tutelano nessuno, a partire dalle persone direttamente interessate e lasciano campo libero alle privatizzazioni mentre la grande battaglia, questa sconosciuta, dovrebbe essere per servizi pubblici e gratuiti.
Ma è dalla legge che occorre ripartire, obsoleta per molti aspetti e messa in discussione nelle sue fondamenta da parte di chi si sente quale persona medicalizzata, giudicata e privata di una libera scelta. Da chi non vuole schierarsi all’interno del binarismo di genere e da chi chiede maggiore spazio nel viversi identità e corpo.
Occorre, per tutto questo, una diversa relazione fra mondo scientifico, legislativo, politico e comunità T, una forma di comunicazione permanente a tutto campo da inserire nella agenda delle priorità dell’Onig. L’Osservatorio ha sì comunicato la modifica dei suoi protocolli per i percorsi applicati dai centri di riferimento, ma forse serve una rivisitazione più ampia sul tema nel suo complesso che non può certo essere affrontata in due giorni di convegno.
Forse oltre all’audacia, occorre anche un’innovazione generazionale nell’interlocuzione, per dare spazio a nuovi modi di sentire e sentirsi, aprendo contemporaneamente un confronto sulla correttezza di un percorso che possa tutelare le scelte personali, sostenute da esperti.
Un’ultima annotazione: pur essendo l’Onig un organismo di rappresentanza di secondo livello, nel nuovo direttivo non sono rappresentate tutti i centri operativi, mancano tra gli altri Roma e Firenze, che operano su grandi numeri ed estese esperienze. Una scelta veramente incomprensibile se si vuole aprire una discussione ad ampio raggio. Forse si è scelta la politica dei piccoli passi, peccato che pare arrivato il momento del grande salto.