Alcuni mesi fa Giuseppina La Delfa, docente di lingua francese all’Università di Salerno, cofondatrice dell’associazione Famiglie Arcobaleno e membro del direttivo di Nelfa (network delle associazioni europee di genitori Lgbtqi), ha dato alle stampe il secondo romanzo autobiografico dal titolo Tutto quello che c’è voluto. Storie di pance, di semi e polvere di stelle. In esso racconta il viaggio verso la genitorialità compiuto con la compagna di una vita, Raphaëlle.
Un volume dedicato a Lisa Marie, la figlia tanto desiderata, affinché – come precisa La Delfa nel prologo – il libro possa aiutarla a raccontare a ipotetici figli l’epopea che sta alla base di questo progetto di genitorialità.
Il racconto, che si sviluppa come un itinerario in tappe verso la felicità e la realizzazione di un proprio legittimo desiderio, è anche un percorso funzionale ad attraversare e scardinare i vari luoghi comuni che si addensano intorno al concetto stesso di famiglia e genitorialità. Luoghi comuni che si sciolgono come neve al sole di fronte all’evidenza dell’amore.
«Eravamo state cresciute, come tutti, nella mitologia del sangue trasmesso, e non era facile spogliarcene così solo col raziocinio. Ci voleva la concretezza di quell’abbraccio spontaneo», così scrive La Delfa mentre descrive il momento in cui sorprende l’amica Carla, in Toscana, assopita con la figlia maggiore, concepita grazie a un donatore anonimo e cresciuta da due madri.
Tra un sorriso e una riflessione amara l’autrice ci accompagna in un percorso che non è stato facile e che presenta, ancor oggi, tante difficoltà e criticità perché, inutile negarlo, gli stereotipi e i pregiudizi sono ancora ben radicati nell’immaginario collettivo. Ma, come nota giustamente l’autrice, l’unico vero strumento per affrontare lo stigma e l’ignoranza è proprio la visibilità e la verità dell’amore, della propria esistenza e dei propri desideri. E poi, in Italia, c’è la fragilità e la precarietà giuridica in cui vivono i figli delle coppie omosessuali e questo è un elemento che va sempre ricordato.
Per saperne di più, incontriamo l’attivista e scrittrice italo-francese alla vigilia della presentazione napoletana presso il salotto letterario Poetè al Chiaja Hotel de Charme (15 gennaio, ore18:30).
Giusppina, perché hai deciso di scrivere Tutto quello che c’è voluto?
Volevo raccontare “tutto quello che c’era voluto” a livello personale ma anche come persone inserite in un contesto che non ci prevedeva. In qualche modo, questo libro è un regalo alle nuove leve e ai nostri figli tutti, non solo a mia figlia. È un modo di lasciare traccia della loro storia ed è un modo per ricordare quanto è stato difficile superare le difficoltà che abbiamo affrontato. È anche una specie di manuale romanzato su ciò che va fatto e su ciò che non va fatto per crescere figli di persone omosessuali sereni.
E comunque questo libro è anche una dichiarazione d’amore ai miei figli e a mia moglie che ha permesso tutto ciò.
Tu e Rapahelle avete affrontato il vostro percorso omogenitoriale diversi anni fa. Oggi, nel 2020, è più semplice per una coppia omosessuale realizzare un progetto di genitorialità?
Ho scritto questo libro perché volevo lasciare una testimonianza di quelli che furono i primi tempi di Famiglie Arcobaleno. Oggi nel 2020, anche se non siamo ancora tutelati come famiglia in Italia, è molto più facile per le persone omosessuali proiettarsi come famiglia con figli. Le persona sanno che esistiamo, sanno che esiste Famiglie Arcobaleno, sanno dove cercare consigli, conforto, buone prassi per riuscire a creare nuclei visibili e rispettati, figli sereni. Ma immaginate all’inizio del millennio, quando eravamo un pugno di persone isolate, allo sbando, che non sapevamo da dove iniziare quel progetto di figli che allora ci sembrava folle ma era cosi impellente da farci sfidare il mondo. E il mondo l’abbiamo sfidato davvero e abbiamo realizzato il nostro progetto.