Con 67 voti favorevoli, 70 contrari, 34 astensioni l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ha rigettato, il 29 gennaio, la raccomandazione sulla risoluzione Protezione della libertà di religione o credo sul posto di lavoro, presentata il 26 aprile 2018 dal britannico Jeffrey Donaldson del Gruppo dei Conservatori e Riformisti europei. È stato così rimosso da detta risoluzione, invece approvata con 76 sì, 65 no e 29 astensioni, il concetto di accomodamento ragionevole (reasonable accommodation).
L’inserimento di un tale complesso lemmatico – come spiegato nel comunicato odierno dell’Associazione radicale Certi Diritti – «mirava a far introdurre agli Stati membri del Consiglio d’Europa l’obbligo per i datori di lavoro di accogliere le richieste dei dipendenti basate su credenze religiose.
Se pure il principio dell’accomodamento ragionevole è presente nei trattati sui diritti umani, esso è, e deve rimanere, confinato al contesto della disabilità, dove ha una piena ragionevolezza. In ambito di convinzioni religiose, invece, avrebbe finito per garantire che si potessero usare “la religione e il credo” come scusa legale per negare servizi pubblici e discriminare in situazioni come questa: un panificio che rifiuta di fare una torta per una coppia gay; un datore di lavoro che rifiuta il riconoscimento legale del genere per una persona trans; un ospedale che rifiuta a una persona malata di essere visitato dal suo partner dello stesso sesso».
Come osservato con soddisfazione dal presidente Yuri Guaiana, «l’ultima sessione dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ha compiuto un passo importante verso la non-discriminazione nel mondo del lavoro».
In linea infatti con il documento Religioni e diritti Lgbti, una prospettiva liberale, approvato al XIII° Congresso di Certi Diritti a Trento del 15-17 novembre 2019, si ritiene che «le autorità pubbliche, ad ogni livello, devono restare fermamente ancorate al principio della laicità, conseguentemente rifiutando qualsiasi privilegio per le religioni, sia esso di natura legale, economica o intellettuale» e che «la libertà religiosa non può mai essere il pretesto per la messa in questione di altri diritti fondamentali».
Guaiana ha infine fatto notare come «nei giorni scorsi abbiamo contattato vari parlamentari rappresentanti per l’Italia all’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, per informarli su quanto sarebbero andati a votare. Siamo quindi felici dell’esito della votazione».