Il 4 marzo un tribunale di Hong Kong, accogliendo il ricorso di Nick Infinger, ha stabilito che l’orientamento sessuale non può essere assunto come criterio per l’assegnazione o meno di alloggi popolari e ha invalidato il rifiuto di un’agenzia governativa di concederne uno alla coppia.
La decisione è stata salutata come una grande vittoria da Ray Chan, il primo parlamentare di Hong Kong dichiaratamente gay, in quanto l’ex colonia britannica, in cui non sono riconosciuti né il matrimonio egualitario né le unioni civili, è stata spesso criticata dalle associazioni per i suoi arcaismi in termini di pari diritti.
Lo scorso anno il ricorrente, Nick Infinger, che è residente permanente a Hong Kong e ha sposato il proprio compagno in Canada nel 2018, aveva presentato domanda di assegnazione di casa popolare come «famiglia ordinaria» in piena ottemperanza ai prerequisiti necessari relativi a reddito ed età.
Ma in settembre l’agenzia governativa di edilizia popolare aveva rigettato la richiesta, ritenendo che la categoria famiglia ordinaria» riguardi solo marito e moglie, genitore e figlio, nonno e nipote.
Ma il giudice Anderson Chow ha rilevato come l’autorità di assegnazione degli alloggi popolari non avesse giustificato adeguatamente l’esistenza di una differenza di trattamento tra coppie eterosessuali e omosessuali nel respingere la richiesta.
Il giudice ha considerato «illegale e incostituzionale» una politica che esclude le coppie sposate dello stesso sesso dall’accesso alle case popolari, annullando la decisione dell’agenzia e chiedendone una revisione. L’ente governativo può ancora presentare ricorso contro la sentenza.
«Questo è un progresso – ha dichiarato Ray Chan –. Tutto a suo tempo. Ogni vittoria giudiziaria ha un costo in termini di spese legali, tempo, stress per i soggetti querelanti». Ha quindi concluso: «È tempo di consentire alle coppie di persone dello stesso di unirsi legalmente a Hong Kong».
Un primo successo in tema di diritti Lgbt+ a Hong Kong era già stato conseguito nel 2018, quando la Corte finale d’Appello aveva concesso a una donna lesbica britannica di poter vivere e lavorare nella megalopoli con la propria coniuge, riconoscendo loro gli stessi diritti di cui beneficiano le coppie eterosessuali straniere.