Lunedì 9 marzo, alle 21:00, il Lovers Film Festival promuove a Torino l’anteprima del film Gli anni amari di Andrea Adriatico, che sarà nelle sale a partire da giovedì 12. A causa dell’emergenza Covid-19 la capienza della sala del Cinema Massimo sarà limitata a 150 posti in ottemperanza alle prescrizioni del decreto del presidente del Consiglio dei ministri del 4 marzo 2020.
La proiezione sarà seguita da un dibattito, a cui interverranno il regista stesso, il direttore del Museo nazionale del Cinema Domenico De Gaetano e Vladimir Luxuria, direttrice del Lovers Film Festival, la più antica rassegna cinematografica sui temi Lgbti+ d’Europa e terza nel mondo, che quest’anno compie 35 anni.
In occasione dell’anteprima abbiamo intervistato il regista Andrea Adriatico.
Lunedì a Torino ci sarà l’anteprima de Gli anni amari. Ne è contento?
Finalmente il film vede la luce nelle sale. Dopo l’anteprima di Torino al Cinema Massimo grazie a Lovers, arriverà al cinema il 12 marzo, nell’anniversario della morte di Mario Mieli. Purtroppo Gli anni amari esce in giorni piuttosto “amari” per il coronavirus, e quindi sarà solo nelle sale che decideranno di tenere aperto con le distanze di sicurezza. Ad ogni modo tornerà nuovamente a Torino dopo l’anteprima, dal 12, e poi a Roma, Genova, Bologna, Palermo, ma anche in altre città come Grosseto e Ascoli Piceno. La mappa delle uscite è in continuo aggiornamento nel sito ufficiale del film, dove stanno anche il trailer e una gallery.
Il film parla di Mario Mieli. Come lo fa?
Lo fa raccontandolo come persona e come intellettuale di punta del movimento “frocio” degli anni 70. Confrontarsi con un protagonista della vita pubblica richiede prima di tutto di capire il suo pensiero, la sua azione, ma anche di trovare il modo di restituire la sua vicenda a quarant’anni di distanza, non solo a un pubblico che ha memoria di quel periodo, ma soprattutto a chi non lo conosce. Per questo abbiamo lavorato in un continuo bilanciamento tra la ricostruzione filologica e ‘chiavi’ contemporanee che consentano un aggancio con il presente: per carità, nessuna forzatura o distacco dalla verità storica, ma il tentativo appunto di arrivare più direttamente a far conoscere Mario Mieli e quel periodo pensando a cosa ne rimane oggi e a cosa è importante ritornare senza nostalgia ma con la consapevolezza di una nuova riflessione soprattutto sul tema dei diritti lgbt. D’altra parte, come dicevo, abbiamo voluto raccontarlo anche come persona. Per rispetto di Mario, la sua figura non può essere solo quella di un’icona, ma deve tener conto della sua biografia intima, complessa e tormentata. E che alla fine, per noi, è soprattutto quella di un adolescente che ha trovato con coraggio una propria strada di affermazione e identità.
Perché ritiene che sia importante che il pubblico conosca la storia di Mieli?
Anzitutto perché è un pezzo non marginale della nostra storia. E per “nostra” mi riferisco non solo agli omosessuali, ma a tutti. Mario Mieli ha lottato non solo per l’affermazione dell’omosessualità, ma soprattutto per la liberazione di ogni persona dalle gabbie sociali e psicologiche, e quindi sessuali, che vengono imposte. Una battaglia importante che è passata in secondo piano negli anni ’80 quando dall’utopia di Mario Mieli della rivoluzione sessuale si è passati a una più concreta lotta per i diritti. Ecco, ricordare anche l’utopia, mentre si lotta per le cose concrete, è importante. E poi è importante perché attraverso di lui si ricostruisce un periodo chiave ma rimosso della nostra storia recente: gli “amari” anni ’70. E infine, mi piace pensare di poter raccontare la vita di qualcuno che ha sempre sovvertito le regole e le aspettative, un personaggio “imprendibile” e non facilmente etichettabile. Seguire questa figura, anche nelle sue evoluzioni più assurde e incomprensibili (spesso anche dentro una precarietà psichica), credo sia un esercizio importante per gli spettatori: forzare le regole e i confini come atto estremo è, almeno idealmente, una necessità, e allora trovare questa attitudine in qualcuno come Mario Mieli può aiutarci a comprendere meglio anche le regole e i confini nei quali siamo, che siano giusti o ingiusti.
L’anteprima è promossa da Lovers, il più antico festival Lgbt d’talia. Quale crede sia oggi il ruolo delle rassegne Lgbti+ in Italia e nel mondo?
Fondamentale. La cinematografia a tematica Lgbti+ e quella espressione di un impegno portato avanti da persone lgbt hanno ormai superato la fase pionieristica e anche quella del riconoscimento artistico e sociale. Manca però un adeguato riscontro nella diffusione, e quindi nella conoscenza. Non mi riferisco ai pochi film e ai pochi registi famosi, spesso legati a una pratica della narrazione omosessuale secondo modelli più mainstream o su trame più ‘accettabili’, ma alla fitta rete di film indipendenti e di tematiche meno accomodanti, che solo nei festival riescono a trovare un buon riscontro. Questi festival danno questa opportunità e mi auguro che contribuiscano a far fare al cinema lgbt il salto definitivo per la sua diffusione.