Termineranno il 22 marzo gli arresti domiciliari di tre mesi per l’artista e attivista Lgbt+ Yulja Tsvetkova. Ma la femminista 26enne, condannata in novembre anche a una multa di 50.000 rubli (circa 722 euro) per violazione della legge russa contro la cosiddetta “propaganda omosessuale” e diffusione di “immagini pornografiche”, rischia adesso fino a sei anni di carcere per nuove accuse presentate contro di lei.
Se la precedente condanna era stata irrogata per aver disegnato una famiglia arcobaleno con la scritta «È l’amore che fa una famiglia. Sostieni le famiglie Lgbt+» a difesa di una coppia dello stesso sesso costretta a partire dalla Russia con i due figli adottivi e altri schizzi a favore della campagna #женщина не_кукла (La donna non è una bambola, ndr), a pesare adesso sulla giovane ci sarebbe l’ulteriore accusa di divulgazione di immagini pornografiche per i suoi Monologhi della vagina con esplicito rimando al celebre monologo teatrale di Eve Ensler.
Una serie di dipinti e sculture realizzate da Yulja, fotografate e pubblicate sull’omonima pagina di ВКонтакте (il diffuso social network russo) per denunciare i persistenti atteggiamenti tabuali in Russia su mestruazioni, anatomia vaginale e corpo delle donne.
Lo scorso anno Yulja, che ha ricevuto minacce di morte dal gruppo пила/Saw (lo stesso sospettato di aver ucciso brutalmente l’attivista di San Pietroburgo Yelena Grigoryeva), ha dovuto fra l’altro chiudere il centro culturale che gestiva nella sua città di Komsomol’sk-na-Amure, ubicata nel Kraj di Chabarovsk nella Russia asiatica.
È un dato di fatto l’utilizzo crescente dell’accusa di pornografia per perseguire attiviste e attivisti Lgbt+, dal momento che a un tale reato sono annesse severe pene detentive (da due a sei anni di carcere) sulla base del comma 3 dell’articolo 242 del Codice penale. A differenza, invece, della legislazione in materia di propaganda omosessuale, che prevede soprattutto sanzioni pecuniarie.
Nella città di Chabarovsk l’attivista Sergei Arnaoutov, ad esempio, è stato processato a fine febbraio per diffusioni di materiale pornografico in ragione di alcuni film per uomini gay pubblicati sui social. Nell’oblast’ di Brjansk lo stesso capo di accusa è stato contestato alla 53enne donna transgender Mikela, condannata in novembre a tre anni di carcere per la presunta pubblicazione di disegni di minori nudi. La sentenza è stata annullata a gennaio da un tribunale superiore, che ha ordinato un nuovo processo.
Per il rilascio immediato di Yulja e la revoca di tutte le accuse nei suoi riguardi (nonché per l’abrogazione della legge contro la cosiddetta “propaganda omosessuale”) si sono mobilitati attraverso un pubblico comunicato Civil Rights Defenders, Norwegian Helsinki Committee, Freemuse, Article 19, Amnesty International Norway, FRI – Norwegian Organisation for Sexual and Gender Diversity, Human Rights House Foundation, International Partnership for Human Rights, Queer World, Salam Norway, Swedish Federation for Lesbian, Gay, Bisexual, Transgender, Queer and Intersex Rights.
Con i medesimi fini All Out, in collaborazione col Moscow Community Center, ha lanciato una petizione online, che ha superato al momento le 92.000 adesioni.