Con la sentenza nr. 7668/2020, depositata in data odierna, la Prima sezione della Cassazione ha rigettato il ricorso di due donne residenti in Veneto, le quali, in occasione della nascita della loro figlia, avevano chiesto all’ufficiale di Stato civile di poter dichiarare che la stessa fosse nata da fecondazione assistita con il consenso di entrambe.
Secondo i giudici (presidente Maria Cristina Giancola, estensore Antonio Lamorgese) il ricorso va rigettato alla luce della sentenza della Corte Costituzionale del 18 giugno 2019. Questa, nel giudicare non incostituzionale il divieto di accesso alla fecondazione assistita per coppie dello stesso sesso, ha sostenuto che alla radice del divieto si colloca «il trasparente intento di garantire che il suddetto nucleo riproduca il modello della famiglia caratterizzata dalla presenza di una madre e di un padre» e ha escluso che «la pma possa rappresentare una modalità di realizzazione del “desiderio di genitorialità” alternativa ed equivalente al concepimento naturale, lasciata alla libera autodeterminazione degli interessati». Per la Corte, quindi, il divieto in sé non permette di dare rilevanza al consenso della donna non partoriente.
Per contro, in linea con due recenti decisioni della Corte di appello di Bologna, la Prima sezione pare aprire al riconoscimento della madre sulla base del solo dato genetico, laddove afferma il «diritto di essere menzionata come madre nell’atto di nascita, in virtù di un rapporto di filiazione che presuppone il legame biologico e/o genetico con il nato». D’altra parte, la presidente del Collegio Giancola in occasione della pubblica udienza del 9 gennaio aveva chiesto in maniera del tutto inaspettata ed eccezionale in un giudizio di legittimità di mettere a verbale un fatto non acquisito nei gradi di merito: se sussistesse o meno un legame genetico fra la minore e la madre intenzionale.
L’esito del giudizio apre quindi uno spiraglio alla co-maternità genetica, ma è negativo per le interessate. La coppia di donne ricorrenti afferma: «Siamo deluse. Prima di tutto, perché la Cassazione così umilia una donna unita civilmente con la compagna. Ha infatti confermato che questa deve dichiarare alla nascita che ha avuto un rapporto sessuale con un uomo, quando la verità pacifica è una fecondazione assistita. Questa è una prima questione.
Ma siamo altresì deluse perché il consenso all’eterologa prestato da un compagno lo rende padre, quello dato da una compagna no. Lo Stato pensa davvero che nostra figlia sia meglio tutelata con un solo genitore certo alla nascita invece di due, solo perché il Parlamento può dirsi convinto che la soluzione migliore è sempre e comunque un padre e una madre? A noi pare che la Corte di Strasburgo abbia già detto quanto è pacifico negli altri Stati dell’Europa e per la scienza medica: un bambino cresce bene anche con due madri».
Le madri ricorreranno alla Corte europea per i diritti umani, considerato che questa ha già affermato che lo Stato non può sostenere la famiglia tradizionale al punto di pregiudicare l’interesse di un minore in carne ed ossa. Si pone altresì la questione della grave violazione del diritto dell’Unione, considerato che era stato espressamente richiesto alla Cassazione un rinvio alla Corte di giustizia rispetto al diritto di minori e adulti di avere un atto di nascita che riportasse la verità riproduttiva. Non vi è stato nessun atto sessuale con un uomo innominato in costanza di relazione, ciò che è una questione distinta ed autonoma rispetto al diritto del bambino al secondo genitore. Questione attinente i dati personali completamente omessa, al pari degli argomenti ancorati alla Cedu, da parte della Cassazione.
Per l’avvocato Alexander Schuster, che avviò la prima causa di questo tipo proprio con questa coppia nel 2017, la sentenza non è condivisibile: «Mi pare la sentenza ometta completamente di dare conto degli argomenti delle ricorrenti e delle questioni sollevate, non affrontandole nella decisione. Per la prima volta e d’intesa con le ricorrenti, decidiamo di mettere a disposizione della comunità nazionale dei giuristi gli atti del processo di cassazione, così che ognuno possa leggere le nostre difese e giudicare questa sentenza con maggiore contezza del contesto. Si provvederà nelle prossime ore ad oscurare i dati personali degli interessati e a pubblicare entro martedì 7 aprile 2020 gli atti processuali sul sito dello studio legale Schuster».
Contattato da Gaynews, Gianfranco Goretti, presidente di Famiglie Arcobaleno, ha dichiarato: «Prendiamo atto della sentenza della Cassazione ma non possiamo non dirci delusi. Ancora una volta i bambini non sono tutelati. Non si chiede nulla di più se non che i nostri figli e le nostre figlie abbiano le stesse tutele alla pari degli altri e delle altre.
Noi continueremo a esperire tutte le strade possibili: continueremo a chiedere i riconoscimenti agli ufficiali di Stato civile e a fare ricorso nei tribunali qualora ciò non venisse consentito. Non ci arrendiamo, convinti di essere dalla parte della ragione».
Esultanza per la sentenza della Cassazione è stata espressa dall’europarlamentare di Fratelli d’Italia Simona Baldassare, che ha affermato: «Un figlio non è un diritto, è sempre e solo un dono! Rinnovo il mio appello di ottobre scorso alle forze politiche in Parlamento affinche’ affrontino con urgenza ed in modo esplicito la questione dal punto di vista legislativo. Usciamo dalla ambiguità legislativa e mettiamo fine, una volta per tutte, ad una pratica che pone in pericolo l’equilibrio psichico di un bambino pur di soddisfare il desiderio egoistico di alcune coppie.
Mettiamo uno stop, definitivo, al mercimonio di gameti maschili e di uteri in affitto. In conclusione, spero che la Corte europea dei Diritti dell’uomo, alla quale le due donne in questione hanno detto di voler ricorrere, abbia il coraggio e la determinazione di confermare la sentenza senza alcuna influenza ideologica e non metta in discussione una decisione legittima presa dalla piu’ alta autorita’ giudiziaria in Italia».
Le ha fatto eco il senatore leghista Simone Pillon, vicepresidente della Commissione parlamentare per l’Infanzia e l’Adolescenza, che ha dichiarato: «La Corte Suprema di Cassazione ha riaffermato oggi il divieto di iscrivere all’anagrafe bambini con due donne indicate quali genitori. La decisione riconferma i principi sanciti dalla Corte Costituzionale nel 2019 e dalle decisioni del ministro Salvini del 2018. Bene, così si ribadisce il vecchio adagio popolare: di mamma ce n’è una sola. E anche di papà. I bambini ringraziano. Con tanti saluti alle ideologie di ieri e di oggi».