L’attuale crisi sanitaria da Covid-19 sta enormemente pesando sulle fasce più deboli della società. A denunciare una particolare situazione emergenziale sono soprattutto le persone dedite al sex working e, tra queste, anche quelle transgender. Per fare il punto della situazione abbiamo raggiunto Porpora Marcasciano, presidente del Mit – Movimento Identità Trans e figura di spicco del transfemminismo europeo.
Il Paese sta attraversando un momento difficilissimo a causa del Covid-19. E a pagare in futuro, come prevedibile, saranno soprattutto le persone più deboli e, tra queste, moltissime persone transgender. Che cosa bisognerebbe fare e chi coinvolgere?
Prima di rispondere credo sia necessaria una premessa e, cioè, che anche il mondo trans come tante alte categorie è diviso tra più e meno garantiti. Nel mondo esistono trans benestanti, che oggettivamente hanno maggiori garanzie, mentre ve ne sono tante e tanti in situazione di debolezza e fragilità socio-culturale, che hanno scarse o alcuna garanzia. È su queste ultime che si abbatterà più forte la crisi. Aggiungo, anche, che la stessa questione trans, a causa della crisi, passerà in second’ordine (se mai fosse stata al primo) se non addirittura messa in discussione dalle vecchie retoriche restauratrici. Un’azione fondamentale sarà la valorizzazione delle reti solidali, di tutte quelle soggettività che riempiono il vuoto di welfare, che negli anni si è allargato e che crescerà ancora di più. La crisi porta in se anche la “possibilità” che, se riusciremo a “galoppare”, potremo dire di aver vinto.
In questi giorni si è parlato molto delle persone che svolgono sex working. Alcune di loro raccontano che hanno sufficiente denaro per attendere che quest’epidemia passi e, rivendicando così la propria autonomia, si sono inventate il “lavoro distanza”. Ma sono tantissime quelle che lamentano uno stato limite. Che ne pensi in proposito?
Dai dati in nostro possesso e dalle informazioni che ci arrivano dal coordinamento delle/dei sexworkers ci risulta una situazione generale di smarrimento, incertezza e povertà perché è venuto meno il lavoro nelle sue forme classiche. Posso affermare che la maggioranza denuncia grossi problemi di sopravvivenza.
Alcune sex worker sono vittime di sfruttamento e tratta e vengono in messe in condizione di non potersi difendere rischiando ogni giorno per la loro salute, così come i loro clienti. Qual è il tuo punto di osservazione su questo tema?
Intanto sfatiamo l’equazione prostituzione uguale sfruttamento perché non è così o, almeno, non lo è per tutte. La prostituzione, secondo me, è un mezzo importante per molte persone di vivere, sopravvivere, scappare, cambiare, rendersi autonome. E tutto questo, ora, è messo in discussione dalla pandemia. In questo momento è venuta meno la libertà di movimento e questo è valido sia per chi esercita (in strada o in casa) che per i clienti. Anche in caso di coazione il lavoro non funzionerebbe perché l’accesso del cliente alla venditrice di prestazioni è sbarrato. Uno dei primi segnali in questo senso è stata la scomparsa generalizzata dei centri massaggio cinesi, di cui non ci sono più annunci da gennaio. A detta di chi segue il fenomeno e delle protagoniste siamo in presenza di un cambiamento storico, antropologico e di crisi del vecchio modello ma nuove forme di esercizio non se ne intravedono.
Come reagisce la comunità Lgbti+ a tale realtà?
Non tutta la comunità è sensibile o interessata alla questione. Molti, anche all’interno del mondo trans, vedono la prostituzione come stigma e percorso negativo, dimenticando che è stato proprio grazie a essa che si è potute diventare visibili. Il Mit, che arriva da quell’esperienza fin dalla sua nascita, è riuscito a capovolgere la situazione e a costruire servizi e buone pratiche che sono diventate modello in tutta Europa. Siamo in rete con i principali network italiani, riconosciuti ad alto livello, ma scontiamo gli attacchi feroci di una parte, per fortuna minoritaria, del mondo trans. A volte sembra che il Mit sia il nemico numero uno da abbattere e distruggere. Io credo che il Mit, per la sua lunga storia, sia patrimonio di tutto il movimento e che, per questo, vada rispettato.
Pride, orgoglio determinazione al tempo del Covid-19: cosa resta e cosa si può fare?
È il momento della riflessione. Il mondo si è fermato a proteggersi e riflettere. Le avanguardie, e non solo del mondo gaio, dovrebbero ripensare a modelli nuovi, per una nuova epoca. La forma Pride, come sfilata vuota e appassita, dovrebbe lasciare il posto alla sostanza, a sfilate di orgoglio consapevole, di resistenza. Anche perché non conosciamo gli sviluppi della crisi attuale, dove uno dei rischi potrebbe essere la radicalizzazione dei sovranismi populisti. Basti vedere il caso schifoso dell’Ungheria.
Nei tuoi libri hai raccontato non solo la tua storia ma anche quella di tante altre persone trans. Oggi ne stai scrivendo una nuova?
Nello scrivere i miei libri, lo sforzo è stato sempre quello di parlare in maniera corale e collettiva. Di ridare la voce a chi non l’ha mai avuta. Di riportare la storia in una orizzontalità di esperienze. Di capovolgere la storia recuperando la nostra narrazione, quella dal basso: la contro storia. Chiaro che ho ancora tanto da dire, ma la crisi della pagina bianca mi ha sempre attanagliato. Quando avrò scritto la prima pagina, il resto è fatto.