Il 2 aprile sia la commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Dunja Mijatović, sia i co-presidenti dell’Intergruppo del Parlamento europeo per i diritti Lgbti, Marc Angel e Terry Reintke, avevano duramente criticato il governo ungherese per il divieto di rettifica dei dati anagrafici, contenuto nell’articolo 33 della cosiddetta “legge insalata” in riferimento alle persone transgender.
Ieri 63 eurodeputati ed eurodeputate, a partire dalla vicepresidente del Parlamento Ue Heidi Hautala (per l’Italia hanno firmato Brando Benifei, Eleonora Evi, Giuseppina Picierno, Rosa D’Amato), hanno indirizzato una lettera al ministro Gergely Gulyás, capo della cancelleria del premier Viktor Orbán, e alla ministra della Giustizia Judit Varga chiedendo la revoca dell’articolo 33 dal disegno di legge omnibus T/9934.
Presentato il 31 marzo dal vice-premier Zsolt Semjén all’indomani del conferimento dei pieni poteri da parte del Parlamento monocamerale ungherese al primo ministro per affrontare l’emergenza Covid-19, il testo di progetto legislativo inserisce nel quadro normativo ungherese il dato del “sesso di nascita”, che definisce permanentemente il genere di una persona «sulla base dei caratteri sessuali primari e sui cromosomi».
Ciò significa che il dato anagrafico, registrato alla nascita, F (férfi per uomo) o N (Nő per donna), sarà immodificabile al pari del nome assegnato, per cui resterà proscritto quello d’elezione anche in caso di intervento di riassegnazione chirurgica del sesso o terapia ormonale. Un tale divieto formalizzerebbe quanto avviene dal 2018 in Ungheria, dove le persone transgender si sono viste costantemente negare la rettifica dei dati anagrafici con conseguenti numerose cause giudiziarie in corso.
«Le procedure legali di riconoscimento del genere – si legge nella lettera – sono la base per la protezione delle persone transgender. Sono ugualmente importanti per le persone intersex, cui alla nascita viene assegnato un sesso diverso da quello con cui si identificano. Queste procedure garantiscono il riconoscimento del genere legale delle persone transgender e intersex da parte delle amministrazioni nazionali e offrono loro protezione contro ulteriori discriminazioni».
I firmatari e le firmatarie della missiva hanno inoltre rilevato come l’articolo 33 del disegno di legge T/9934 sia in aperta violazione delle norme europee in materia di diritti umani e della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo. Ma anche della sentenza della Corte costituzionale ungherese che, in data 21 giugno 2018, «ha stabilito che il riconoscimento delle persone transgender e il loro potenziale cambio di nome si riferiscono al diritto fondamentale alla dignità. La sentenza ha riconosciuto che il cambio di nome di una persona è intrinsecamente correlato alla modifica del genere e alle autorità è stato richiesto di stabilire una legislazione che garantisca l’indicazione di entrambi i sessi e il cambio di nome nella registrazione ufficiale senza discriminazioni».