Edito nel 2013 per i tipi della Columbia University Press, Are the Lips a Grave? A Queer Feminist on the Ethics of Sex si occupa di acrimonie, incrinature, rotture e tradimenti. Traccia il divario tra le filosofie della sessualità femministe e queer, interroga l’allontanamento del queer dal femminismo, la contrapposizione tra femministe antiquate e sessuofobiche e le loro cugine queer eleganti e perverse. Lynne Huffer si chiede come due progetti imparentati – uno femminista, l’altro queer – intimamente imbrigliati nell’impegno di sfrattare abitudini sessuali normative, si sono ritrovati bloccati uno contro l’altro. Il testo esamina la frattura tra queer e femminismo attraverso la figura del soggetto etico, e propone di pensare in modo queer insieme al femminismo invece che senza femminismo, come invece aveva pensato Janet Halley (2006). Nonostante il titolo funereo, Le labbra sono una tomba?, questo è un testo accademico tutto sommato gioioso, intento a resuscitare una discussione filosofica su una tradizione femminista antifondazionalista, a contestare la rappresentazione queer di un femminismo trasandato e pudico, e a celebrare un’etica femminista queer che possa contribuire alla sutura contemporanea tra morale e sessualità nella soggettività moderna.
In tutto il testo di Huffer incardina le domande seguenti sulle coordinate etiche e sessuali del femminismo queer: Cos’è un’etica femminista queer? Cosa c’è di provocatorio nell’abitare concordi femminismo e queer nonostante la loro storia ventennale di distanza affettiva? Riabilitare un femminismo antifondazionalista come può riattivare un’energia cinetica queer e femminista? Cosa può offrire un femminismo queer per valutare la fusione tra sessualità e apparati della morale? E come possiamo progettare un’etica sessuale che sia femminista in modo queer? Le labbra del titolo – Le labbra sono una tomba? – occupano il bordo di teorie dissonanti e poteri multifocali. Sono una risposta labiale alla tesi antisociale incentrata sull’analità di una teoria queer maschilista elaborata da Leo Bersani e Lee Edelman (1987, 2004). Le labbra sono anche una figura cruciale per un’etica femminista queer non riproduttiva, relazionale, antifondazionalista, informata del lesbismo. Il titolo Le labbra sono una tomba? collega, proiettando speranza, il queer del saggio di Bersani, Il retto è una tomba? (1987), al femminismo di Luce Irigaray Quando le nostre labbra si parlano (1977). Le labbra non complementano il fallo, non favoriscono una iterazione riproduttiva della differenza sessuale. Huffer invoca le labbra come figure per un’etica erotica basata sull’incommensurabilità della differenza, una performance narrativa del sé e dell’altro, e delle qualità afoniche del piacere. La domanda di Huffer (Le labbra sono una tomba?) contiene un coro di altre domande: Possiamo amare senza tradire? Possiamo parlare in silenzio? Possiamo proporre un’etica queer del sesso che non offenda il femminismo? In altre parole, le labbra lavorano sul bordo di aporie impossibili, congiungendo gli opposti in un gioioso dialogo etico.
L’eccellente testo di Huffer offre tre contributi chiave alle filosofie del sesso. Il primo è l’endorsement del sospetto foucaultiano nei confronti dell’ipotesi repressiva; l’urgenza di parlare di sesso e per il sesso come se fosse in palio la «nostra liberazione», come se «dire sì al sesso volesse dire no al potere» (Foucault 1978, 159, Huffer 184). Diventata routine, la teoria queer spesso se la cava parlando di atti sessuali “trasgressivi” come se ci conducessero alla libertà allontanandoci dal potere. Fare e parlare sesso diventa così contrassegno di un vero soggetto queer, e l’incitamento a «parlare sporco in teoria» ha la funzione di normativizzare la sessualità nel biopotere (75) A questo proposito Huffer studia quello che viene spesso tralasciato nei vari studi sulla sessualità: cioè il modo in cui la sessualità funziona come un apparato morale nella produzione dei soggetti. Quindi, celebrare il queer, o qualsiasi aspetto palese della sessualità, parla del legame tra sessualità e morale costitutivo dei soggetti moderni. Così Huffer ci aiuta a sviluppare un atteggiamento critico verso le tendenze normalizzatrici del queer, a cui tuttavia spesso mancano le variopinte celebrazioni della trasgressione nella teoria queer.
Secondo, Huffer parla contro la separazione categorica tra pensiero queer e pensiero femminista, invitando a coltivare un femminismo queer. Teoria queer e femminismo queer sono due filosofie cruciali per pensare al sesso, e ciascuna viene spesso definita la scuola “giusta” per fare sesso. Rintracciando la divaricazione tra queer e femminismo negli inizi della teoria queer e specialmente in Gayle Rubin e Eve Kosofsky Sedgwick (1984, 1990), Huffer attinge ad Annamarie Jagose e Robyn Wiegman (2004; 2009) per sostenere che il femminismo è la principale fonte di ispirazione della teoria queer e il suo costante interlocutore. Eppure il femminismo è stazionario, gli manca il brivido del queer, che in seguito lo eclisserà. Nonostante la sovrapposizione, le due scuole filosofiche studiano la sessualità in modi diversi. La teoria queer investe in pratiche sessuali antinormative, in turbamenti performativi e autodistruttivi del soggetto. Gli approcci femministi alla sessualità, invece, tendono a una concezione narrativa del soggetto e studiano il sesso in relazione al genere. Inoltre, mentre l’attenzione della teoria queer sulla performatività è rivolta a un soggetto piuttosto individualizzato e atomistico, le teorie femministe sul sesso esplorano un soggetto più relazionale ed eticamente coinvolto. In tutto il testo mette e rimette in scena, racconta e riracconta il divario tra il performativo della teoria queer e le concezioni narrative femministe della soggettività, esaminando la loro contrapposizione etica. Infine Huffer propone un’etica riparatrice femminista queer, dato che «politicamente ed eticamente il queer ha bisogno delle femministe e le femministe del queer» (9).
Terzo, proponendo un’etica femminista queer, cercando di immaginare una sessualità non ancorata nel biopotere, Huffer elabora un’etica dell’eros implicata nella costruzione di una soggettività in connessione con gli altri. «L’eros in quanto etica erotica dell’alterità» (12) porta a immaginare una sessualità che eccede la routine come strumento di normalizzazione. Un’etica dell’eros è dunque un modo per ascoltare la dissonanza morale, offrire presa all’alterità e al conflitto, rendere possibile un femminismo queer.
Su questi tre contributi chiave Huffer offre a chi legge otto capitoli e una conclusione. Nel primo capitolo, che porta il titolo del libro, Huffer si concentra sul pensiero antifondazionalista della filosofa francese Luce Irigaray in quanto progetto immaginativo dell’eterosessualità queer. Profondamente influente sulla filosofia anglofona degli anni ’80, Irigaray è stata trascurata e allontanata dal filosofare queer nonostante sia presente all’inizio di Gender Trouble (1990) di Judith Butler. Huffer considera questo fatto una ripetizione della divergenza critica queer-femminista, cioè il rifiuto, da parte della teoria queer, del queer offerto dal pensiero femminista sul sesso, come negli scritti di Irigaray. Questo rifiuto è anche indice di una preoccupazione sullo statuto della differenza sessuale nella teoria queer, un suo problema con l’alterità nonostante si impegni a distruggere una soggettività maschile orgogliosamente coerente. Recuperato il posto di Irigaray nella teoria queer, Huffer esplora il suo progetto di distruggere il monosoggetto maschile della soggettività moderna. Questo capitolo può essere descritto come una elegia irigariana su un’etica erotica femminista e queer.
Non c’è Gomorra prosegue il lavoro del primo capitolo esaminando il divario queer-femminista evidente nell’uso queer della performatività e nella preferenza femminista per la narratività. Leggendo Il puro e l’impuro (1941/66) di Colette e Alla ricerca del tempo perduto (1922/1931/1981) di Proust, come allegorie del femminismo e del queer, Huffer esamina il racconto biblico nella Genesi sulla punizione del comportamento omosessuale nelle città gemelle Sodoma e Gomorra. La teoria queer, sostiene Huffer, viene ritenuta luogo di eccitamento teorico e autenticità antifondazionalista perché funziona sul terreno della turbativa performativa, ma ritenendo prioritaria una soggettività costantemente in costruzione e decostruzione, vira all’asocialità, limita l’intersoggettività, perde di vista alterità ed etica. Invece il femminismo, per quanto più impegnato in questioni etiche e relazionali, viene considerato noioso e datato perché proteso verso forme di indagine narrativa affidate a un soggetto ingenerato esistente prima dall’azione o dell’enunciazione. Il contributo di Huffer in questo capitolo, dove continua l’analisi del divario queer-femminista, è di proporre la performance narrativa come strategia di sutura tra il queer e il femminismo. Dato che la narrativa è già una performance essendo una particolare forma di enunciazione o di atto linguistico, la performance narrativa è un modo attraente di pensare alla narrazione. Huffer sembra anche argomentare, per quanto meno chiaramente, che la performance narrativa potrebbe occuparsi di intersoggettività, o della co-costituzione etica di soggettività socialmente vicine ad altri.
Nel terzo capitolo, Il pugno di Foucault, Huffer discute ancora della tendenza della teoria queer a elidere il femminismo e la specificità di genere. Il queer, sostiene, troppo spesso finisce col parlare di uomini gay. Esaminando il finale invito utopico di Foucault a «corpi e piaceri» nella Storia della sessualità vol. 1 (1978, 159), Huffer discute l’elaborazione culturale ed etica di pratiche come il fisting gay che tendono a oscurare sia un discorso operativamente maschile, sia un discorso di potere sessuale. Atto e figura evocativa dell’androginia, il fisting, asserisce Huffer, viene troppo spesso collegato alla mascolinità gay. Seconda cosa, l’esortazione a parlare da parte delle “perversioni” tende a circoscrivere i soggetti nell’apparato normalizzante della sessualità. Una «esortazione a parlare sporco in teoria» (75), per quanto «possa sembrare trasgressiva» (76), ci colloca nella spinta seduttiva del discorso sul sesso al servizio del biopotere usato per incoraggiare i corpi ad agire in conformità a pratiche e prospettive normative ripetitive e in continua evoluzione. Qui chi legge potrebbe fermarsi a meditare: se, nel senso foucaultiano di Huffer, l’innovazione sessuale viene imbrigliata per riprodurre regimi normativi nel momento stesso in cui viene parlata, che significato hanno l’innovazione sessuale, formare nuove culture e comunità sessuali, protendere i nostri corpi oltre la “normalità” sessuale? A chi legge non viene data una risposta; la redenzione offerta alla fine da Huffer è un ripensamento del pugno/fisting some performance narrativa, una pratica «eto-poetica», non solo pugno, ma mano «determinata dal suo dispiegamento temporale nel chiudere, aprire e ancora chiudere» (78). Il capitolo quindi ci riporta indietro alla questione dell’etica: tra femministe e queer così come tra corpi-nel-sesso.
Il quarto capitolo, Vittoria Queer, Sconfitta Femminista. Sodomia e Stupro in Lawrence vs. Texas?, esamina l’applicazione legislativa in campo sessuale attraverso l’applicazione della sentenza di Powell contro lo Stato (1998) nella famosa sentenza di Lawrence contro il Texas (2003) che ha decriminalizzato la sodomia. Huffer usa il racconto performativo per esaminare come la narrativa che celebra la decriminalizzazione della sodomia occulta la silenziosa cancellazione della violenza sessuale nel caso dell’accusa di sodomia applicata al cunnilinguo imposto da Powell alla nipote della moglie. Huffer usa questa discussione per riflettere sul ruolo che hanno nel sistema legale la narrazione, le emozioni e la comunicazione non verbale (come il pianto). La divisione queer-femminismo riemerge in questo capitolo nella critica diversa fatta alla legislazione dalle politiche queer e da quelle femministe. Per Huffer la politica femminista si concentra sull’uso dell’apparato legale e giuridico per combattere la violenza sessuale, mentre la politica queer tende a sospettare della legge pur cercando di applicarla per privatizzare la libertà sessuale. La storia di Powell in Lawrence, ritiene Huffer, nasconde questioni di violenza sessuale e di violenza razziale, raccontando una storia addomesticata e omonormativa che celebra il progresso della lotta nazionale condotta contro l’omofobia.
I quattro capitoli successivi tracciano la genealogia di un femminismo erotico, lesbico e queer. Come termine o concetto femminista o queer, ‘lesbico’ denota «dimenticare una differenza sessuale che è stata di per sé dimenticata»(118), relegata a una posizione di silenzio imbarazzante, nonostante il suo contributo cruciale alla teoria degli anni ‘70. Huffer riposiziona il lesbismo come «un evento di emarginazione carico di erotismo» (118), attingendo alle autrici Alison Bechdel, Violet Leduc, Colette, Sara Maitland, Valerie Solanas, e alla regista Virginie Despentes per esplorare un godimento lesbico, una narrativa intertestuale che include questioni etiche dell’alterità. Parlando anche di rapporti di lettura, Huffer sostiene una lettura masturbatoria con una mano sola, intonata al modello relazionale di soggettività quando si racconta, si scrive e si legge. Nel capitolo 7, Huffer fonde la sua narrativa personale con la storia di Abramo, Sara e la loro schiava egiziana Agar nella Genesi, per riflettere sul tradimento come «il momento quando l’amore vacilla» (144), e sul tradimento che coesiste con l’amore, anche nelle sue versioni queer e femministe.
Nel suo insieme, Le labbra sono una tomba? è una esplorazione garbata ed evocativa, per quanto talvolta ciclica, degli antagonismi queer-femministi. Huffer argomenta poeticamente la causa di un femminismo queer che lavora usando le divisioni tra queste due scuole di pensiero invece di appianarle. Il suo lavoro critico è un tessuto a strati, coraggioso nei commenti sull’eclisse del pensiero femminista da parte della teoria queer.
Alla presentazione del libro a San Juan, Puerto Rico, nel novembre 2014, la critica più severa è stata verso i commenti al contributo teorico femminista sull’intersezionalità. Huffer ha risposto facendo notare che l’intersezionalità è presente solo in alcune pagine di questo libro di 200 pagine e la sua critica riguarda l’ansiosa insistenza femminista a usare l’intersezionalità come l’unico strumento per esaminare la differenza; pur essendo indisputabilmente un importante strumento critico, l’intersezionalità è diventata un meccanismo di normalizzazione nel femminismo, autorizzando un «imperativo morale a escludere l’esclusione» che produce effetti di sorveglianza sulle studiose femministe (19). Il mio desiderio inappagato per questo libro riguarda la mia lettura masturbatoria: Come può il femminismo queer impegnarsi a rimettere al centro una differenza sessuale che non escluda altre “differenze”?
Bibliografia
Bersani, Leo. 1987. “Is the rectum a grave?” October 43 (Winter): 197-222.
Butler, Judith. 1990. Gender trouble: Feminism and the subversion of identity. New York: Routledge.
Colette. 1941/1966. The pure and the impure. Trans. Herma Briffault. New York: Farrar, Straus, & Giroux.
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Irigaray, Luce. 1977. When our lips speak together. In This sex which is not one. Trans. Catherine Porter. Ithaca, N.Y.: Cornell UP.
Jagose, Annamarie. 2009. 2Feminism’s queer theory”. Feminism and Psychology 19 (2): 157-74.
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Proust, Marcel. 1922–1931/1981. Remembrance of things past. Trans. C. K. Scott Moncrieff &Terence Kilmartin. New York: Random House.
Rubin, Gayle. 1984. “Thinking sex: Notes for a radical theory of the politics of sexuality”. In Pleasure and danger: Exploring female sexuality, edited by Carole S. Vance. London: Routledge&Kegan Paul.
Sedgwick, Eve Kosofsky. 1990. Epistemology of the closet. Berkeley: University of California Press.
Wiegman, Robyn. 2004. “Dear Ian”. Duke Journal of Gender, Law, and Policy 11: 93-120