Nella sua recensione di R/esistenze Lesbiche nell’Europa nazifascista (a cura di P. Guazzo – I. Rieder – V. Scuderi, ombre corte, Verona 2010), comparsa su Il manifesto l’11 luglio 2010 e intitolata Pratiche di desistenza per vite messe all’indice, Luisa Passerini scriveva che le lesbiche sono quasi sempre non rappresentate nelle commemorazioni europee dello sterminio. Questa realtà resta inalterata dieci anni dopo, nonostante gli sforzi delle militanti. Un gruppo di storiche lesbiche europee si è battuto per avere un monumento commemorativo delle lesbiche che furono internate a Ravensbrück. Richiesta per ora, fra mille cavilli e ostacoli, non evasa.
Una zona di silenzio circonda la storia di chi fu internata con un triangolo nero, per “asocialità”, categoria includente anche le lesbiche. Eppure, oltre al già citato R/esistenze lesbiche, collettanea di testi delle maggiori studiose europee (Francia, Spagna, Germania, Austria, Italia), i riferimenti storiografici e d’archivio non sono più carenti o censurati come negli anni ‘80 del secolo scorso. Ricchissimo di riferimenti alle internate con i triangoli neri è per esempio Plus forte que la mort. L’amitié féminine dans les camps di Marie-Josèphe Bonnet (Éditions Ouest-France, Rennes 2015).
Ormai è noto alle storiche che in Austria, con il paragrafo 129 del Codice penale del 1852, che non limitava la punibilità alla sola omosessualità maschile, vi fu una persecuzione delle lesbiche pari a quella dei gay. Ines Rieder, storica austriaca, ha parlato di 66 casi di donne arrestate dalla Gestapo per atti lesbici. Rosa Jochmann, socialista internata a Ravensbrück, verrà “accusata” di lesbismo da un’altra ex internata e si difenderà negando l’accusa persino in una lettera al presidente austriaco. Il tempo del silenzio storico omosessuale e lesbico dipende soprattutto da condizioni sociali e culturali che portano alla paura e alla vergogna: l’assenza di documentazione e di ricerca è spesso solo una conseguenza di un’assenza più vasta, un’ombra posta dai “soggetti eccentrici” a difesa di sé.
Per capire nel profondo la condizione di persone sradicate forzatamente, che resistono trafficando e costruendo vite doppie e triple in parallelo ai regimi nazifascisti, ci sono i romanzi di Modiano. Ma chi raccoglierà la nostra storia?
Vogliamo ricordare oggi, 75° anniversario della liberazione dell’Italia dall’occupazione nazista e dal regime fascista, quella di Gianna Ciao, gappista romana, lesbica resistente, scomparsa nel 2008. Nata a Roma il 21 dicembre 1922, Gianna frequenta il liceo e si iscrive alla facoltà di Lettere e Filosofia della Sapienza, ma non consegue la laurea perché ne viene espulsa a causa del suo antifascismo. Un’insegnante del liceo la mette in contatto con il Partito d’Azione, fra le cui file svolgerà attività clandestine nella Roma occupata dai nazisti.
Per la sua attività Gianna non ha ricevuto riconoscimenti pubblici come, d’altra parte, la maggior parte delle donne che hanno contribuito alla liberazione dell’Italia dal nazifascismo sicché, in ambito storiografico, si parla giustamente di Resistenza taciuta. «I riconoscimenti – come ebbe a dire una volta – non li ho mai chiesti. Dovevo chiederli. Dovevo chiederli, si dovevano chiedere al momento… Non m’interessa mettermi in mostra… Io in fondo sono quella che aspettava che le pellirosse attraversassero il Rio Bravo».
Diventa, dopo la guerra, una fotografa internazionalmente conosciuta e va a vivere a Saint-Paul-de-Vence, luogo di residenza di numerosi artisti. Fra le sue amicizie Juan Mirò, Jacques Prévert, André Verdet. Ha conosciuto e frequentato anche Picasso, Vita Sackville-West, Frida Kahlo, Marlene Dietrich, Danièle Noël, i Rolling Stones.
Una citazione dal suo libro I cieli inadempienti (TraccEdizioni, Piombino 1995) brilla, infine, come il segno ineludibile e maestoso di un percorso di vita: «OSSERVAZIONE. Quando si parla di amore ci protendiamo sul “condividere” che è solidarietà, amore, e affettuoso incontrarsi: è lontano dal dividere che può comportare numerazioni, gerarchie, l’insorgere conflittuale, il calcolare, il più e il meno, chi merito tot e chi questo o quello. Chi condivide è spinto dalla necessità di incontrarsi, dallo spaccare la solitudine per aprire le braccia non ai volti di eroi prestabiliti con la morte nei fucili ma agli anonimi che bruciano lacrime e sangue per seguire le loro idee e inclinazioni e che conoscono infine i baci al profumo di tiglio».