Circus of Books è un documentario di Rachel Mason che, presentato al Tribeca Film Festival il 26 aprile 2019, è disponibile dal 22 aprile 2020 in streaming sulla piattaforma Netflix.
Esso racconta la storia dell’omonima storica libreria di Los Angeles, rilevata dai coniugi Mason nel 1982 e chiusa nel giugno 2017 a seguito del dilagare delle vendite online e alla diffusione gratuita, in rete, degli stessi prodotti commercializzati dalla coppia. Infatti, Circus of Books era una dei più famosi negozi di videonoleggio porno, soprattutto gay, esistenti negli Stati Uniti. Certamente, il più famoso per la comunità Lgbt+ di Los Angeles.
In realtà il documentario di Rachel Mason non investiga tanto sull’attività commerciale dei genitori ma prova a restituire un ritratto emotivo e umano delle dinamiche relazionali interne alla famiglia e del contesto socio-culturale, in cui si è situato lo store. Nei racconti dei Mason emerge un’immagine molto tradizionale della loro famiglia: Karen, una madre premurosa e credente che frequentava la sinagoga, e Berry, un padre sempre allegro e ateo molto dedito alla moglie e ai tre figli che, sostanzialmente, sono stati per anni all’oscuro dell’attività commerciale dei genitori.
In effetti per i coniugi Mason la propria attività nel settore del porno era solo un modo come un altro per guadagnare. Eppure, loro malgrado, Circus of Books negli anni ‘80 e ‘90 era diventato un vero punto di riferimento per tutti quei gay che, costretti alla clandestinità dall’assenza di spazi in cui incontrarsi e riconoscersi, si rifugiavano nello store per sentirsi liberi di essere se stessi. Il contesto politico e sociale, in cui si realizzò l’ascesa del Circus of Books, è quello dell’America di Ronald Reagan: un trionfo di ipocrisia e sessuofobia che creò non pochi grattacapi agli stessi coniugi Mason, fino al momento in cui iniziò una graduale fase di emancipazione con l’elezione di Bill Clinton nel 1992.
Particolarmente coinvolgente è la parte del documentario che la giovane filmaker dedica alla memoria degli anni della dilagante pandemia di Aids, allorché tanti ragazzi tra i 20 e i 30 anni, che lavorano nell’industria pornografica, allontanati dalle proprie famiglie come appestati, “colpevoli” di aver contratto l’Hiv svolgendo un lavoro ritenuto osceno e deprecabile, e condannati a morire soli.
Parte consistente del documentario è, poi, dedicata alla figura di uno dei figli dei coniugi Mason che, dopo un tormentato conflitto interiore, decise di fare coming out e dichiarare la propria omosessualità ottenendo una dolorosa reazione negativa della madre. Infatti, nonostante l’intera attività professionale di Karen Mason si svolgesse con persone omosessuali, la sua formazione rigidamente religiosa le impediva di accettare l’eventualità di avere un figlio gay.
Ma i coniugi Mason sono persone ricche di risorse e sorprese e così, dopo un periodo di riflessione e dopo un percorso condiviso con altri genitori di ragazzi gay, sono oggi tra i più fervidi attivisti per i diritti delle persone Lgbt+ e partecipano con orgoglio al Pride di Los Angeles.