Sarà la Corte Costituzionale a sancire se sia legittimo o meno il divieto di trascrivere nell’atto anagrafico di un bambino, nato all’estero grazie alla gpa, il nome del secondo papà o genitore intenzionale.
Con l’ordinanza 8325/2020, depositata oggi, la Prima Sezione civile della Suprema Corte (presidente Giacinto Bisogni, relatore Rosario Caiazzo) ha dichiarato «rilevante e non manifestamente infondata» la questione di legittimità, relativa alle disposizioni di legge, «nella parte in cui non consentono, secondo l’interpretazione attuale del diritto vigente, che possa essere riconosciuto e dichiarato esecutivo, per contrasto con l’ordine pubblico, il provvedimento giudiziario straniero relativo all’inserimento nell’atto di stato civile di un minore procreato con le modalità della ‘gestazione per altri’ del cosiddetto genitore d’intenzione non biologico».
Come noto, l’orientamento giurisprudenziale in materia era stato affrontato dalle Sezioni unite della Corte con la sentenza 12193 delll’8 maggio 2019. Ma i giudici della Prima Sezione Civile hanno fatto riferimento all’advisory opinion, adottata il 10 aprile 2019 dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, con cui la Grande Chambre di Strasburgo ha richiamato i 47 Stati del Consiglio d’Europa a riconoscere legalmente, in nome dell’interesse del minore, il legame genitore-figlio con la madre intenzionale (non biologica) indicata come ‘madre legale’ nei certificati di nascita di altri Paesi.
Pertanto i giudici di Piazza Cavour hanno sollevato dubbi sulla legittimità delle accennate disposizioni di legge, ritenendole «in contrasto» con diversi articoli della Costituzione, dal principio di uguaglianza a quelli in tema di famiglia, nonché della Convenzione europea dei diritti umani, «se interpretate come impeditivi, in via generale e senza valutazione concreta dell’interesse superiore del minore, della trascrizione dell’atto di nascita legalmente costituito all’estero di un bambino nato mediante gestazione per altri nella parte in cui esso attesta la filiazione dal genitore intenzionale non biologico, specie se coniugato con il genitore biologico».
Il caso in esame riguarda infatti due cittadini italiani, sposati in Canada, che si erano visti rifiutare dall’Ufficio Anagrafe del Comune di Verona, dove risiedono, la correzione dell’atto di nascita del loro bambino, nato nel 2015 tramite gpa, secondo una sentenza della Corte Suprema della British Columbia. Sentenza che riconosceva a entrambi i due coniugi lo stato di genitorialità del minore e il conseguente emendamento del certificato di nascita col dato della doppia paternità.
Da qui la decisione di ricorrere alla Corte d’Appello competente, quella cioè di Venezia, che, il 28 giugno 2018, aveva riconosciuto la piena efficacia in Italia del provvedimento canadese e disposto che il Comune di Verona correggesse l’atto con l’annotazione di copaternità.
La sentenza era stata quindi impugnata dall’Avvocatura dello Stato per conto del ministero dell’Interno e del sindaco di Verona. Il giudizio davanti alla Cassazione resterà adesso sospeso fino alla decisione della Consulta.
L’ordinanza odierna della Suprema Corte è stata giudicata positivamente dall’avvocato Alexander Schuster, legale della coppia, che in una nota ha osservato come essa argomenti «in maniera precisa e convincente perché la decisione delle Sezioni unite del maggio 2019 non possa rappresentare l’ultima parola del nostro ordinamento rispetto a una questione così complessa. Quella sentenza ignorava la posizione della Corte di Strasburgo e non consentiva di prendere in considerazione caso per caso quale fosse l’interesse concreto del minore. Sono contento che la Prima Sezione abbia condiviso le nostre tesi sull’inadeguatezza di quella soluzione. Sono in ballo le sorti non solo delle famiglie arcobaleno, ma di tutte quelle famiglie, soprattutto con genitori eterosessuali, che accolgono bambini nati da gestazione per altri».
Contattato da Gaynews, Gianfranco Goretti, presidente di Famiglie Arcobaleno, ha dichiarato: «I tribunali, in questi giorni, ci stanno dando segnali diversi. E l’ordinanza di oggi dimostra che la strada che abbiamo intrapreso ha ragione di essere. Noi continuiamo a chiedere diritti a tutte le porte possibili, fermi nell’idea che prima o poi la politica debba intervenire ponendo fine all’evidente ingiustizia che stanno vivendo i nostri figli e le nostre figlie».