Il 23 Aprile 2020 è successo qualcosa di inedito : un gruppo di parlamentari, di funzionarie e attiviste europee si sono incontrate in un evento pubblico online per discutere di questioni lesbiche nelle politiche europee. La domanda di base, a cui si è cercato di rispondere, è stata: Cosa può fare l’Ue per le lesbiche?. Previsto per celebrare il Giorno della Visibilità Lesbica, l’evento EU and Lesbian: a critical time to connect, è stato organizzato da EL*C (EuroCentralAsian Lesbian* Community) e dell’Intergruppo per i diritti Lgbti del Parlamento europeo.
Si è trattato di un incontro che ho avuto il piacere di moderare. In esso sono emerse alcune interessanti prospettive, che vengono dal percorso di costruzione del movimento lesbico europeo ma tracciano anche una strada interessante per porre la questione lesbica a tutti i livelli.
Doveva trattarsi, inizialmente, di una conferenza pubblica nella sede del Parlamento. La crisi e la conseguente impossibilità di tenere eventi pubblici hanno spinto a non cancellarlo ma a trovare piuttosto un format alternativo. Era importante mantenere aperta la conversazione intorno alla posizione delle lesbiche nella società europea soprattutto nel momento attuale, in cui ci sono rischi concreti per i diritti di donne e minoranze. Come è stato detto durante l’evento da parlamentari e attiviste, e confermato dalle oltre 200 partecipanti, era indispensabile e urgente sollevare la questione per contrastare le tendenze di alcuni stati europei in cui la pandemia è usata come scusa per de-prioritizzare le questioni lesbiche o peggio opprimere donne e persone Lgbti.
È chiaramente emerso che molte cose si stanno muovendo a Bruxelles sulle questioni relative a diritti umani, politiche sociali e uguaglianza. Quest’anno, per la prima volta, è stata nominata una Commissaria europea che ha, come portafoglio a sé stante, l’eguaglianza di genere, le questioni Lgbti, l’antirazzismo e le strategie per combattere la discriminazione. La prospettiva è incoraggiante ma rimane il rischio che le lesbiche, a cavallo tra le oppressioni di genere e di orientamento sessuale, finiscano ancora una volta nella zona d’ombra di queste strategie e roadmap istituzionali, nell’illusione che basti occuparsi di questioni Lgbti per occuparsi di lesbiche.
La prima necessaria riflessione riguarda il modo di costruire le strategie e politiche pubbliche sulle questioni Lgbti, che spesso tengono conto pochissimo delle diversità rappresentate dalle lettere dell’acronimo. Il problema naturalmente è che questa “neutralità” è solo illusoria e finisce invece per rinforzare le dinamiche patriarcali e eterosessiste delle nostre società (anche di quelle che dall’Italia vediamo come più avanzate). Le conseguenze sono chiare e i dati condivisi durante la conferenza sono eloquenti. A livello globale solo il 3% dei fondi spesi (privati e pubblici) per questioni Lgbti riguardano iniziative lesbiche. Di questo 3% solo il 6% è diretto verso iniziative o gruppi basati in Europa. Tutti i sondaggi europei effettuati negli ultimi anni mostrano che le donne lesbiche e bisessuali subiscono violenza in percentuali maggiori delle donne etero. Pchissimi dati, invece, vengono raccolti e pochissime ricerche, in tutti i campi (dalla ricerca medica a quella sociologica), si occupano specificatamente di donne non eterosessuali.
Dunque è emerso chiaramente che bisognava illuminare quella zona d’ombra tra genere e orientamento sessuale e farlo in dialogo diretto con le istituzioni che pensano e influenzano le strategie pubbliche su questi temi. Bisognava anche farlo in maniera chiara e usando la parola “lesbica”, perchè rimane ancora un tabù anche a livello europeo. Ma anche perchè è un potente modo per parlare chiaramente di intersezione tra genere e orientamento sessuale. Alla fine, durante l’evento, la parola lesbica è stata utilizzata 166 volte non solo da attiviste ma anche dalle politiche e dalle rappresentanti istituzionali. E, per giunta, in tutte le lingue possibili: dall’inglese al ceco fino allo swahili.
Il focus su genere e orientamento sessuale non fa comunque dimenticare che la comunità lesbica è un insieme di esperienze e prospettive anche molto diverse. La consapevolezza di questa disomogeneità è fondamentale ed è necessario che le esperienze di lesbiche trans e non binarie, così come le prospettive di lesbiche migranti, rifugiate, disabili, nere e appartenenti a minoranze etniche, siano rappresentate nello specifico. Come diceva, Audre Lorde, citata e ricordata più volte durante la conferenza, «alle donne è stato insegnato ad ignorare le proprie differenze o vederle come causa di separazione e sospetto invece che come forze di cambiamento».
La sfida e l’opportunità, su cui si può e si deve lavorare insieme a livello europeo ma non solo, sta proprio nell’utilizzo di queste diversità e forze di cambiamento così da poter costruire una comunità lesbica inclusiva, non apologetica e, per questo, davvero incisiva. In fondo, sempre per restare su Audre Lorde, «senza comunità non c’è liberazione ma solo il fragile armistizio tra la singola e la sua oppressione».