«Mi vedi anche con la giacca, l’ho messa per te». Ha esordito così Giovanna Botteri in collegamento da Pechino a Che tempo che fa, lanciando un’elegante stoccata a chi, nei giorni scorsi, l’ha ridicolizzata e insultata sui social per look e acconciatura.
La responsabile dell’Ufficio Rai di Pechino è così tornata sulla polemica scaturita da un servizio di Striscia la notizia, che, andato in onda il 28 aprile, ironizzava appunto sulla sua «fresca messa in piega» e sul suo abbigliamento.
Inconsistente è apparsa la difesa messa in campo da Michelle Hunzinker e Gerry Scotti, che hanno ieri dichiarato di aver fatto un servizio a favore di Giovanna Botteri e liquidato a fake news l’accusa di body shaming avanzata da più parti. In realtà, il servizio del 28 aprile è apparso come irridente e denigratorio non soltanto a Cnog, Fnsi, Usigrai e Giulia Giornaliste. Ma anche e, soprattutto, al grande pubblico della trasmissione di Mediaset: tanto è vero che, sin dalla sera stessa del 28 aprile, gli hater si sono scatenati sui social contro Giovanna Botteri.
? FAKE NEWS ALERT #GiovannaBotteri @Striscia pic.twitter.com/iGh3kyGWpW
— Michelle Hunziker (@m_hunziker) May 2, 2020
Ciò ha provocato una corale reazione di condanna da parte di personalità del mondo del giornalismo, della cultura, dello spettacolo come anche della politica: dalla deputata Laura Boldrini alla senatrice Monica Cirinnà, dall’europarlamentate Irene Tinagli alla ministra Teresa Bellanova, per fare solo alcuni esempi, fino all’intero Pd, che in un post ha stigmatizzato gli attacchi contro la responsabile dell’Ufficio Rai di Pechino.
Una giornalista non deve rispondere a nessun cliché ma cercare notizie, saperle raccontare e fare corretta informazione
Per questo non servono look prestabiliti e ricciolo d’ordinanza ma professionalità e autenticità che, a Giovanna, certamente non mancano#GiovannaBotteri
— laura boldrini (@lauraboldrini) May 2, 2020
Riusciremo mai ad ascoltare quello che una donna ha da dire, senza fare caso al suo aspetto fisico o peggio ancora attaccarla per questo?Possibile che la voce delle donne faccia tanta paura?Non resteremo mai in silenzio. Un abbraccio a #GiovannaBotteri https://t.co/4Dpj4CuGNa
— Monica Cirinnà (@MonicaCirinna) May 2, 2020
Non guardando mai @Striscia, mi ero persa la polemica su #GiovannaBotteri: provo disgusto e tristezza, aumentata dal fatto che proprio una donna, @m_hunziker si sia prestata alla squallida denigrazione di una grande professionista.
— irene tinagli (@itinagli) May 2, 2020
Il taglio di capelli o il vestito non riguardano professionalità e competenze, nè incidono su autorevolezza e capacità di svolgere il nostro lavoro. Il lusso di essere normali senza smettere di essere brave. Per questo ogni giorno #vestocomevoglio e #mipettinocomevoglio.#Botteri pic.twitter.com/VXRJUKTYAs
— Teresa Bellanova (@TeresaBellanova) May 3, 2020
Contattata da Cnog, Fnsi, Usigrai e Giulia Giornaliste, che intendevano esprimerle solidarietà in quanto vittima di body shaming, ossia di «derisione, fino ad arrivare a vere e proprie offese, per come si appare, per come è il corpo, per come ci si veste», Botteri ha preferito non accogliere un tale attestato di vicinanza per «non farne un caso personale». Ma ha invece invitato «tutte e tutti a una sacrosanta battaglia culturale» attraverso parole indirizzate alle quattro realtà giornalistiche.
«Mi piacerebbe – così Botteri nel testo pubblicato, il 1° maggio, sul sito del Consiglio nazionale dell’Ordine dei Giornalisti – che l’intera vicenda, prescindendo completamente da me, potesse essere un momento di discussione vera, permettimi, anche aggressiva, sul rapporto con l’immagine che le giornaliste , quelle televisive soprattutto, hanno. O dovrebbero avere secondo non si sa bene chi… Qui a Pechino sono sintonizzata sulla Bbc, considerata una delle migliori e più affidabili televisioni del mondo. Le sue giornaliste sono giovani e vecchie, bianche, marroni, gialle e nere. Belle e brutte, magre o ciccione. Con le rughe, culi, nasi orecchie grossi. Ce n’è una che fa le previsioni senza una parte del braccio.
E nessuno fiata, nessuno dice niente, a casa ascoltano semplicemente quello che dicono. Perché è l’unica cosa che conta, importa, e ci si aspetta da una giornalista. A me piacerebbe che noi tutte spingessimo verso un obiettivo, minimo, come questo. Per scardinare modelli stupidi, anacronistici, che non hanno più ragione di esistere. Non vorrei che un intervento sulla mia vicenda finisse per dare credibilità e serietà ad attacchi stupidi e inconsistenti che non la meritano. Invece sarei felice se fosse una scusa per discutere e far discutere su cose importanti per noi, e soprattutto per le generazioni future di donne».
Le parole di Giovanna Botteri sono state così commentate a Gaynews da Paola Guazzo, intellettuale e co-organizzatrice di Lesbicx2: «Mi è piaciuto molto l’appello di Giovanna Botteri a ragionare insieme tra donne su come ci adattiamo a modelli imposti anche nell’immagine del corpo, soprattutto in Italia. Anche questo è un tema caldo del femminismo e concordo sul fatto che ne vada anche del futuro delle nuove generazioni. Non si cresce se ci si appiattisce su modelli imposti.
Voglio ricordare che Botteri non è solo una grande giornalista di grande incisività e immagine anticonvenzionale e nel contempo finissima. Ho scoperto in questi giorni un suo articolo dell’82 su Aut Aut, la più prestigiosa rivista filosofica italiana, dove Botteri cita fra l’altro il filosofo queer Guy Hochengem. Voglio riportarne un frammento utile per capire lo spessore analitico di questa giornalista: “È la stessa società adulta a creare i suoi mostri, i suoi nani, le sue ninfette, per soddisfare un bisogno d’Immaginario altrimenti negato, svelarne l’enigma per poi farlo tacere”».
È opportuno qui ricordare come già il 2 aprile la giornalista Rai, nel corso di un’intervista a Linkiesta.it, avesse risposto con lucidità e ironia in merito alla questione del «look essenziale, apparentemente dimesso» e dell’essere diventata una «figura di culto» per il modo di fare informazione.
«Sono lontana – così Botteri nell’intervista – Non so nulla di quello che mi dici. Ho però notato che tante persone hanno iniziato a scrivermi chiedendomi pareri: «Dottoressa, lei che cosa ne pensa?». E io rispondo: «Guarda, che sono dottoressa in filosofia». Non so. Credo che questo sia un momento terribile. Io ho fatto l’inviata di guerra e, anche per questo, uso le metafore belliche in riferimento all’epidemia. In periodo di guerra non ci si può permettere tutta una serie di cose. Casca tutta la sovrastruttura, casca tutto il superfluo. Non hai più bisogno di tutto ciò. Anzi, è doloroso, perché ti fa ricordare quello che non hai più, quello che hai perso. Resta quindi soltanto l’essenziale.
Siamo in un periodo di grande confusione e difficoltà. Improvvisamente te ne rendi conto e ti riappropri di una serie di cose essenziali. E l’essenziale è che ognuno faccia il proprio mestiere. I medici e gli infermieri stanno diventando eroi, perché improvvisamente scopri che il loro è un mestiere in cui si rischia la vita per salvarla agli altri. E il giornalista torna a fare il giornalista: cerca di raccontare quello che sa, che vede, che segue, che indaga a persone che sono lontane dal posto dove lui è. Si torna dunque all’essenzialità di chi siamo e di quello che si deve fare. Tutto il resto push it, non interessa a nessuno. Di come hai i capelli o se metti la stessa maglia: ma chi se ne frega».