Il 5 maggio il Parlamento monocamerale ungherese ha respinto la ratifica della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica (più nota come Convenzione di Istanbul) in quanto promotrice della «distruttiva ideologia del genere» e della «migrazione illegale».
Davanti all’Assemblea il deputato Lőrinc Nacsa, componente di Kereszténydemokrata Néppárt – Kdnp (Partito Popolare Cristiano Democratico) che è in coalizione di maggioranza con Fidesz di Viktor Orbán, ha dichiarato che l’«approccio ideologico [della Convenzione] è contrario alla legge ungherese e alle posizioni del Governo”.
Orbán ritiene infatti che tutte le garanzie per la sicurezza delle donne siano già previste dal legislatore a livello nazionale. Inoltre sostiene che la ratifica della convenzione, firmata dall’Ungheria nel 2014, obbligherebbe il Paese a concedere asilo a persone richiedenti asilo perché perseguitate nel loro Paese di origine a causa del loro orientamento sessuale o identità di genere. Il riferimento è al paragrafo 3 dell’articolo 4, che recita: «L’attuazione delle disposizioni della presente Convenzione da parte delle Parti contraenti, in particolare le misure destinate a tutelare i diritti delle vittime, deve essere garantita senza alcuna discriminazione fondata sul sesso, sul genere, sulla razza, sul colore, sulla lingua, sulla religione, sulle opinioni politiche o di qualsiasi altro tipo, sull’origine nazionale o sociale, sull’appartenenza a una minoranza nazionale, sul censo, sulla nascita, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere, sull’età, sulle condizioni di salute, sulla disabilità, sullo status matrimoniale, sullo status di migrante o di rifugiato o su qualunque altra condizione».
Adottata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa il 7 aprile 2011 e ratificata finora da 34 Stati (l’Italia l’ha fatto nel 2013), la Convenzione di Istanbul è il primo strumento sovranazionale per stabilire standard giuridicamente vincolanti per prevenire la violenza nei confronti delle donne nonché il primo trattato internazionale a contenere una definizione di genere. Alla lettera C dell’articolo 3 viene infatti affermato: «Con il termine “genere” ci si riferisce a ruoli, comportamenti, attività e attributi socialmente costruiti che una determinata società considera appropriati per donne e uomini».
Durissimo contro la decisione del Parlamento ungherese il vicepresidente dell’Europarlamento Fabio Massimo Castaldo, eletto tra le file del M5s, che in un comunicato ha dichiarato: «Nell’Ue una donna su tre, di età pari o superiore a 15 anni, ha subito violenza fisica e/o sessuale, mentre negli ultimi mesi e durante la pandemia da Covid-19 si è registrato un aumento del 20% della violenza domestica in tutti i 193 stati membri delle Nazioni Unite. Sono numeri allarmanti che devono far riflettere. Per questo, appare ancor più scellerata e inaccettabile la decisione del Parlamento ungherese di respingere la ratifica della Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne conformandosi quindi alla posizione del Governo guidato da Viktor Orbán, secondo cui questo trattato promuoverebbe ideologie di genere distruttive e la migrazione illegale».
Per Castaldo questa scelta «viola, in primo luogo, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (Carta di Nizza) e, in particolare, gli articoli 3, 6, 21 e 23 sulla parità tra uomo e donna e il principio di non discriminazione. In Europa sono ancora sette gli stati membri dell’Ue che hanno firmato la convenzione ma non l’hanno ancora ratificata e cioè, a parte l’Ungheria, Bulgaria, Lettonia, Lituania, Regno Unito, Slovacchia e Repubblica Ceca. A maggior ragione la scelta dell’Assemblea di Budapest rappresenta un pericolosissimo precedente che mette a rischio un principio fondamentale che dovrebbe essere universalmente accettato. Quanto a lungo l’Ue, e specialmente il Consiglio, intendono continuare a tollerare l’esistenza di un regime autoritario al suo interno senza prendere i dovuto provvedimenti, senza sospenderne il diritto di voto?».