Il 17 maggio ricorrerà il 30° anniversario della depatologizzazione dell’omosessualità da parte dell’Organizzazione mondiale della Sanità. Per ricordare una tale decisione storica, nel 2004 è stata istituita la Giornata internazionale contro l’omo-lesbo-bi-transfobia, riconosciuta dall’Unione europea nel 2007.
In vista di tale occasione abbiamo raggiunto Roberto Baiocco, psicologo, terapeuta familiare e professore associato in Psicologia dello Sviluppo alla Sapienza di Roma, dove insegna Psicologia della genitorialità e delle Relazioni familiari. È autore di oltre 200 articoli su riviste nazionali e internazionali. Recentemente ha pubblicato Rosa, Azzurro e Arcobaleno. Identità di genere e orientamento sessuale (Gedi, 2018) e Quanta bellezza. Mamme e papà di figlie lesbiche e figli gay si raccontano (Mc Graw Hill, 2019).
Prof. Baiocco, il 17 maggio è una giornata importante per la comunità Lgbtì. Si può individuare un legame, in questo tempo di isolamento forzato, con il Covid-19?
Il 17 maggio è una giornata importante per la comunità Lgbt+. L’obiettivo è promuovere e coordinare eventi per la sensibilizzazione e prevenzione del fenomeno dell’omofobia, della bifobia e della transfobia. Il 17 maggio è stato scelto perché in quella data nel 1990 l’omosessualità fu rimossa dalla lista delle malattie mentali dall’Organizzazione mondiale della Sanità. Insomma, una data molto importante non solo per le persone Lgbt+ ma anche per tutte le operatrici e gli operatori della salute mentale e in particolar modo per le psicologhe e gli psicologi e le psichiatre e gli psichiatri. In questi giorni ho sentito più volte associare il tema dell’isolamento forzato dovuto al Covid-19 e l’isolamento vissuto dalle persone Lgbt+. Devo dire che questa associazione non la trovo per nulla adeguata. Intanto, perché rimanda al tema della malattia, della contaminazione e della morte che nulla ha a che fare con gli orientamenti sessuali e le identità di genere delle persone. L’isolamento che stiamo vivendo per via del Covid-19 è motivato essenzialmente dal tentativo di proteggerci e di proteggere le altre persone dal virus mentre l’isolamento che caratterizza alcune persone Lgbt+ non ha nessuna valenza positiva. Inoltre, penso che dovremmo iniziare a raccontare e descrivere le persone Lgbt+ non solo associandole a concetti quali isolamento e discriminazione. Personalmente preferisco pensare a parole quali coraggio, libertà, amore, amicizia.
Con questo non intendo banalizzare la sofferenza e le difficoltà che le persone Lgbt+ possono incontrare nella loro vita ma intendo soltanto dire che molte cose sono state fatte negli ultimi 30 anni nei paesi occidentali e che possiamo impegnarci ad ottenere molto altro “contaminando” in modo positivo tutti coloro che, indipendentemente dal loro orientamento sessuale e dalla loro identità di genere, credono in valori quali l’uguaglianza, la giustizia, la libertà. Sì, questa è la contaminazione positiva che mi aspetto di vedere nei prossimi anni.
Moltissmi giovani Lgbt+ sono in casa. Alcuni di loro non hanno fatto coming out e sono in una situazione difficile e di forte stress. Come esperto quali suggerimenti o consigli può dare loro?
Sono diversi anni che io e il mio gruppo di ricerca stiamo studiando il tema del coming out sia dalla prospettiva delle ragazze e dei ragazzi che dalla prospettiva dei loro genitori. Il coming out fa certamente bene alle persone Lgbt+ e ai loro genitori ma è un processo complesso che coinvolge tutta la famiglia e che purtroppo spesso, almeno nelle prime fasi, è associato a sofferenza e dolore. È difficile dare consigli senza correre il rischio di banalizzare una questione così complessa. In questa fase di reclusione forzata, le ragazze e i ragazzi che non hanno fatto coming out possono, ad esempio, sentirsi in forte difficoltà a mantenere relazioni con le persone amate per paura di essere “scoperti” mentre sono al telefono oppure fanno dei collegamenti video. Alcuni genitori hanno più tempo da passare con le loro figlie e i loro figli e magari questa potrebbe essere l’occasione per cercare di comprendere cosa pensano di alcuni temi, più o meno vicini, alle tematiche Lgbt+. Forse, in alcune famiglie, è possibile provare a capire se i propri genitori possono essere sensibilizzati su tematiche Lgbt+ magari suggerendo dei libri o proponendo di guardare insieme dei film a tema. I dati di ricerca dimostrano che negli ultimi anni le reazioni dei genitori al coming out sono migliori del passato e le stesse ragazze e gli stessi ragazzi sono davvero sorpresi dalle reazioni positive dei loro genitori. Anche l’età del coming out nel contesto italiano si è sensibilmente abbassata: circa 15 anni fa l’età media era intorno ai 19 anni mentre negli ultimi cinque anni l’età media è 17 anni. La ricerca dimostra inoltre come la reazione paterna sia simile a quella materna e che un grosso aiuto può essere fornito dalle sorelle e dai fratelli delle ragazze e dei ragazzi Lgbt+.
In questo periodo c’è il rischio di una crescita significativa del clima omotransfobico. Secondo il suo punto di vista, la comunità Lgbt+ cosa potrebbe fare?
Certamente in questo periodo e nei prossimi mesi potremmo assistere ad un aumento di omotransfobia. Non penso di essere la persona più competente a rispondere a questa domanda da un punto di vista politico, né sono in grado di dire ciò che dovrebbero fare le associazioni Lgbt+ per contrastare questo fenomeno. Posso provare però a rispondere da psicologo e terapeuta. La letteratura scientifica sul benessere delle persone Lgbt+ evidenzia nell’amicizia uno dei fattori protettivi di maggiore importanza così come il senso di appartenenza alla propria comunità. A tal proposito, consiglio la visione della recente serie tv Pose che descrive la difficile vita della comunità Lgbt+ nell’America del 1987 ma che racconta anche storie incredibili di amicizia e l’importanza delle “famiglie per scelta”.
Alcune nostre ricerche sulla popolazione Lgbt+ anziana ci raccontano esempi molto belli di solidarietà e altruismo nei confronti delle generazioni precedenti. Molte persone anziane Lgbt+ fanno volontariato, offrono testimonianze, raccontano le loro storie nelle scuole, infondono coraggio, sostengono in modo simbolico ma anche pratico le ragazze e i ragazzi in difficoltà. I momenti di crisi economica possono essere davvero difficili per le persone oppure per i gruppi più fragili ma possono anche essere delle opportunità per ripensare al modo in cui ognuno di noi può contribuire a creare una società migliore. Forse questi valori, in particolare l’amicizia, la solidarietà, il senso di appartenenza vanno sostenuti insieme alle giuste rivendicazioni culturali e politiche della comunità Lgbt+. Ognuno di noi può impegnarsi e contribuire nel modo in cui sa farlo meglio.
I luoghi di ritrovo della comunità Lgbt+ sono chiusi cosi come gli spazi associativi. Si usa dunque molto di più il web. Cosa pensa di queste forme di socializzazione in tempo di Covid-19 ?
La chiusura dei contesti di socializzazione può essere davvero un problema rilevante in particolare per le ragazze e i ragazzi più giovani o per coloro che non hanno mai utilizzato, oppure non sanno utilizzare, forme di comunicazione digitale. La tecnologia ha permesso a molte persone di non sentirsi sole, di mantenere contatti con le proprie amiche e i propri amici oppure con le persone amate. Molte persone che frequentano associazioni Lgbt+ però hanno continuato a incontrarsi “virtualmente”. Da diversi anni collaboro con l’Agedo e questa magnifica realtà associativa non ha smesso di incontrarsi online e sostenersi, aiutare genitori in difficoltà, rispondere alle richieste di aiuto, lanciare iniziative a distanza di sensibilizzazione su tematiche Lgbt+.
Oltre ai benefici, la tecnologia può portare con sé anche diversi rischi. Mi riferisco, in particolare, ad alcuni miei giovani pazienti che, ancora prima della pandemia, avevano difficoltà a fare vita associativa o si trovavano in forte disagio nell’incontrare persone Lgbt+ nella vita offline. Ritirarsi dalle relazioni sociali è un rischio concreto per chi utilizza in modo massiccio la tecnologia, specie quando il livello di omofobia o transfobia interiorizzata è piuttosto alto. Fortunatamente stiamo parlando di una minoranza di ragazze e ragazzi Lgbt+.
A chi è in condizione di stress e in sofferenza a causa dell’isolamento, quali suggerimenti può offrire alle persone Lgbt+ che desiderano un sostegno?
Molte associazioni Lgbt+ non hanno smesso di essere un valido punto di riferimento per le persone in difficoltà offrendo spazi di ascolto e accoglienza in modalità online. Inoltre, da tutto il territorio nazionale sono disponibili numeri verdi di supporto psicologico. Per le persone che si sentono molto sole e che, anche prima della pandemia avevano una vita sociale ristretta, è comunque possibile partecipare ad attività sociali mediate dalla tecnologia proposte dalle diverse associazioni Lgbt+. Magari per loro questa modalità mediata dalla tecnologia potrebbe anche essere un’opportunità di ampliare le proprie conoscenze e la propria rete sociale.
Oltre a queste reti formali sono molto importanti le reti informali costituite principalmente dalle figure significative della propria vita. Un consiglio semplice ma allo stesso tempo molto utile (tra l’altro è una delle indicazioni fornite anche dall’Organizzazione mondiale della Sanità) è programmare incontri frequenti con le proprie amiche e i propri amici, oppure con i propri familiari, magari per un aperitivo virtuale o per festeggiare un compleanno. Sembrano piccole cose ma in realtà aiutano molto a stare meglio.