C’erano solo due donne al mondo davanti alle quali Susan Sontag si prostrava adorante, sostiene Benjamin Moser nel suo Sontag: her life and work (Ecco, New York 2019, pp. 832), uscito nel settembre 2019 e vincitore del Premio Pulitzer 2020 per la Biografia e l’Autobiografia. Le due donne erano Hannah Arendt e Carlotta del Pezzo. La prima è la nota filosofa ebrea tedesca, ma la seconda è stata conosciuta solo nei giri lesbici europei degli anni ’60 e ’70.
«Ci sono quattrocento lesbiche in Europa», soleva dire scherzando Sontag alla sua fidanzata Harriet Sohmers durante il loro soggiorno parigino degli anni’ 50, sottolineando il carattere minoritario ed elitario della dimensione lesbica in un mondo chiuso e conservatore come quello europeo del dopoguerra. Carlotta del Pezzo, aristocratica napoletana nullafacente, bellissima e seduttiva, come fa notare Patrizia Cavalli nella biografia di Moser, era una di queste quattrocento lesbiche e Sontag cadde ai suoi piedi in una love story turbolenta, fra anni ’60 e’ 70. Non si pensi però che il testo di Moser sia solo un catalogo ragionato di gossip, anche se contiene narrazioni rivelatrici come questa e come il superbo aneddoto di una Sontag agitata alla vigilia di un viaggio in Texas perché teme reazioni a un suo discorso di abiura del comunismo, che si rivelano subito del tutto infondate: la società texana sta aspettando l’arrivo della principessa Margaret e se ne infischia di una intellettuale newyorkese raffinata come lei.
L’autrice di Note sul camp, Stili di volontà radicale, Sulla fotografia, Malattia come metafora, e di testi narrativi potenti e sperimentali come Il benefattore, Io, eccetera e In America, solo per citarne alcuni, nonché di cinema e teatro, è stata una saggista e artista vitalissima, quasi frenetica: la più influente intellettuale occidentale del dopoguerra, insieme a Simone de Beauvoir. Una donna in grado di creare definizioni e concetti prima di lei inediti, ma sempre connessi a cambiamenti percettivi e concettuali in atto nel mondo. Da Warhol a Benjamin, da Cioran a Diane Arbus, da Bergman a Marcuse, da Sartre a Barthes: ovunque Sontag percepisce, Susan è. In lei ovunque persiste e fiorisce la sfida novecentesca ai limiti stessi del linguaggio e delle forme espressive, e si trasmette a chi la legga come flusso vitale prima che concettuale, in un corpo a corpo erotizzante. Sontag è questa elettricità percepita, al di fuori dei ristretti limiti delle produzioni accademiche o giornalistiche.
Difficile rendere immagine dell’universo culturale di Sontag, forse è persino più facile focalizzarsi sulla sua complessa vita di lesbica, incrociando fuochi diversi e facendoli convergere in quella X, o incognita, che è lei, e lei stessa ha tratteggiato nei suoi diari. Sontag, documenta in modo capillare e intenso la biografia di Moser, si è sempre innamorata solo di donne, e quasi sempre si è trattato di amori intensi dove ha dato tutta se stessa, quasi mai ricambiata fino in fondo. Certo, si è sposata, ha divorziato (con stalking da parte dell’ex marito, il professor Philip Rieff), ha avuto un figlio, è andata a letto con alcuni uomini interessanti (dall’artista bisessuale Jasper Johns al poeta dissidente sovietico Josif Brodskij), ma la biografia di Moser dice a chiare lettere che è stata davvero innamorata solo di donne. Nel suo caso si può affermare che era lesbica, non c’è stata alcuna b-cancellazione da parte del biografo. Aspetto, questo relativo alle difficoltà del percorso personale e del coming out, affrontato recentemente da Elena Tebano.
Resta però da osservare Sontag incrociando il suo lesbismo con l’epoca difficile della sua prima consapevolezza adolescenziale. La poesia di una giovane negli anni ’40 che, guardando Greta Garbo al cinema, prima desidera emularne i gesti, vuole essere lei, e poi finisce a desiderare di fare l’amore con lei. Questo momento può trovare parole appropriate se non nella visione intima di Susan stessa? Qui si soffonde la luce di un’esperienza profonda, di un mito che balugina, e ha la stessa dignità dell’esempio etico che può esprimersi oggi nell’impegno lesbico verso il coming out. Affascinante, problematica silhouette psichica oltre la Sontag pubblica, che si legge per esempio in controluce in un suo saggio su Anna Banti e il suo romanzo Artemisia, dove – sotto la maschera del saggio monografico – vengono esplorati i rispecchiamenti, le perdite e le riconfigurazioni di un percorso amoroso, letterario ed esistenziale che non può dirsi altrimenti che lesbico.