Il 15 maggio l’Ordine degli Psicologi dell’Albania ha annunciato che vieterà a tutte e tutti i professionisti di praticare su soggetti minorenni e in stato di vulnerabilità le cosiddette terapie di conversione o riorientamento sessuale.
La decisione è stata salutata l’indomani con grande soddisfazione da Ambasada Pink, la massima associazione Lgbti albanese, che proprio il 15 maggio ha animato a Tirana l’11° edizione del Pride. Pride, che si è svolto con partecipazione limitata e in ottemperanza a tutte le misure di sicurezza, imposte per il contenimento del Covid-19, ma con l’adesione delle autorità municipali, della presidenza del Consiglio dei ministri e del ministero della Salute.
Un risultato importante in un Paese che, negli ultimi dieci anni, ha fatto grandi passi in avanti nella tutela dei diritti delle persone Lgbti a fronte di un diffuso atteggiamento negativo verso di esse nella società. Il 4 febbraio 2010, infatti, il Parlamento albanese ha approvato all’unanimità la legge contro la discriminazione basata su orientamento sessuale o identità di genere in tutti i settori. Sempre all’unanimità è stata disposta, il 4 maggio 2013, la modifica del Codice penale per includere tra i crimini d’odio anche quelli basati sulle accennate motivazioni.
In ogni caso, contrariamente a quanto riportato nel comunicato, l’Albania non può definirsi il 6° Paese europeo che ha vietato le terapie di conversione su minori. Come infatti rilevato dallo studio di Ilga-World L’inganno da frenare. Studio giuridico mondiale sulla legalizzazione delle cosiddette terapie di conversione, curato da Lucas Ramón Mendos e presentato il 26 febbraio a Ginevra, soltanto a Malta (cui si è aggiunta la Germania il 7 maggio scorso) vige il divieto nazionale, basato su legge specifica, di tali pratiche su soggetti minorenni e in stato di vulnerabilità. In Spagna, invece, esse sono proscritte solo in cinque regioni.
Lo studio, che illustra i danni di tali pratiche (dall’elettroshock a sedute psicoteraupetiche fino ai riti esorcistici) e i tentativi a livello globale per vietarle, ricorda inoltre come anche in Brasile ed Ecuador siano in vigore divieti nazionali, mentre restano a livello locale, oltre alla Spagna, in Canada (tre province e numerose città), Stati Uniti (19 stati, Washington DC, Portorico e numerose città e contee), Australia (nel solo Stato di Victoria).
In Argentina, Uruguay, Figi, Nauru e Samoa le leggi sulla salute mentale vietano la diagnosi dei pazienti esclusivamente sulla base dell’orientamento sessuale e/o dell’identità di genere: queste norme fungono, dunque, da divieti indiretti.
Stati Uniti, Canada, Cile, Messico sono, inoltre, tra i 10 Paesi che stanno cercando di mettere al bando tali pratiche a livello nazionale. Nello Stato australiano del Queensland è al vaglio un progetto di legge che vieta le cosiddette terapie di conversione prevedendo pene detentive fino a 18 mesi per medici e assistenti sociali.
Lo studio rileva infine come esse siano state condannate quali inefficaci e dannose per la salute mentale dall’Organizzazione mondiale della sanità, Organizzazione panamericana della sanità, Associazione medica mondiale e Associazione mondiale di Psichiatria nonché da oltre 60 associazioni di medici e psicologi sparse in 20 Paesi.
Alla luce di tali elementi Ilga-World ritiene che il 2020 potrebbe costituire un punto di svolta nella lotta contro pratiche che hanno rovinato molte vite. Le mosse globali contro i tentativi di “curare” le persone Lgbt+ stanno di fatto prendendo piede anche sulla base dei dati inquietanti sui danni arrecati.