Si sono tenute nel tardo pomeriggio di ieri presso l’Aula della Commissione Affari sociali della Camera le ultime audizioni informali da parte della Commissione Giustizia nell’ambito dell’esame delle proposte di legge recanti modifiche agli articoli 604-bis e 604-ter del Codice penale, in materia di violenza o discriminazione per motivi di orientamento sessuale o identità di genere. Il tutto in vista della redazione del testo unificato di legge (comunemente conosciuta come anti-omotransfobia), di cui è relatore il deputato Alessandro Zan (Pd).
A essere ieri auditi sono stati il consigliere della Corte Suprema di Cassazione ed ex sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano, il magistrato Fabrizio Filice, l’avvocato Antonio Rotelli, i giuristi e accademici Marco Naddeo, Mia Caielli, Robert Wintemute, la psicologa Margherita Graglia, il presidente dell’associazione Vita è Renzo Puccetti, il presidente del Comitato Pari opportunità del Consiglio dell’ordine degli avvocati di Bergamo Stefano Chinotti.
Pubblichiamo di seguito l’intervento integrale dell’avvocato Antonio Rotelli, assegnista di ricerca presso l’Università degli studi di Udine e cofondatore di Rete Lenford.
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Il mio breve intervento si concentrerà sull’estensione all’“orientamento sessuale” e all’ “identità di genere” della tutela penale in materia anti-discriminatoria, che rappresenta l’elemento comune a tutte le proposte di legge in esame, meno una. Svolgerò in chiusura alcune considerazioni sugli altri contenuti presenti nelle proposte di legge abbinate.
Per rispondere alla domanda se l’intervento legislativo recato dalle proposte di legge in esame sia necessario, come richiede l’articolo 79, comma 4) lettera a) del Regolamento della Camera, partirò da alcuni dati e informazioni. La tutela penale contro i crimini d’odio e i discorsi d’odio di cui sono vittime le persone in ragione del loro orientamento sessuale e della loro identità di genere si può considerare oggi uno standard europeo: secondo dati aggiornati al 2014/2015 dall’Agenzia per i Diritti Fondamentali 20 stati dell’Unione europea prevedono e puniscono i crimini d’odio commessi in ragione dell’orientamento sessuale della vittima, mentre 15 stati (gli stessi o ulteriori) hanno introdotto aggravanti ai reati comuni. I crimini commessi in ragione dell’identità di genere della vittima sono puniti in 8 Stati[1].
Se si considerano i paesi del Consiglio d’Europa, i dati aggiornati al 2019 da ILGA Europe, dicono che i crimini d’odio sono puniti in 28 paesi per “orientamento sessuale” e in 20 per “identità di genere”[2]. D’altra parte, la situazione allarmante di rischio che vivono in ogni luogo le persone lesbiche, gay, bisessuali e trans è tale che a ogni livello istituzionale è avanzata ripetutamente la richiesta di tutelare anche in ambito penale l’orientamento sessuale e l’identità di genere. Per necessità di sintesi mi limiterò a citare solo tre documenti tra i più rilevanti per le fonti da cui provengono:
1) la Raccomandazione CM/Rec(2010)5 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, che agli Stati chiede di proteggere l’orientamento sessuale o l’identità di genere dai reati d’odio e da altri incidenti motivati dall’odio, quale fondamentale misura per assicurare il “Diritto alla vita, alla sicurezza e alla protezione contro la violenza”[3];
2) la Risoluzione Lunacek del Parlamento Europeo sulla tabella di marcia dell’UE contro l’omofobia e la discriminazione legata all’orientamento sessuale e all’identità di genere (2013/2183(INI))[4], in particolare la lettera J;
3) il Report del 2015 dell’Ufficio dell’Alto Commissario per i diritti umani adottato a seguito della Risoluzione 27/32 del Consiglio per i diritti umani dell’ONU, sulla violenza e la discriminazione contro individui a motivo del loro orientamento sessuale e identità di genere (A/HRC/29/23), in particolare la raccomandazione riportata al paragrafo 78, lettera a)[5][6].
La situazione di rischio e di pericolo che vivono in Italia le persone lesbiche, gay, bisessuali e trans con riferimento ai crimini d’odio, sia in termini di discriminazione che di violenza, oggi sfugge alla statistica perché mancando una norma penale il fenomeno non viene misurato, eppure – per esempio – gli italiani e le italiane hanno chiara la diffusione della discriminazione subita dalle persone gay, lesbiche e bisessuali perché la percepisce il 69% della popolazione, secondo la rilevazione di Eurobaromentro del 2019[7]. Un dato che è di 8 punti percentuali superiore all’identica rilevazione condotta dall’ISTAT nel 2011 (61,3%), nell’unica ricerca statistica a oggi pubblicata sulla popolazione omosessuale nella società italiana[8].
La conoscenza dell’incidenza e della diffusione della discriminazione e della violenza nei confronti di persone omosessuali, bisessuali e trans è negativamente influenzata anche da due altri fattori – di cui ora dirò – che l’Italia considera poco spesso, ma che sono noti e sistematicamente denunciati a livello internazionale, come per esempio nei documenti da me citati in precedenza, dove ci sono paragrafi dedicati agli interventi che si richiedono agli Stati per superare l’under-reporting e l’under-recording. Vale a dire che le discriminazioni e violenze nei confronti di persone omosessuali, bisessuali e trans sono poco denunciate, perché le vittime hanno consapevolezza della mancanza di una legge che le protegga e vi è la convinzione diffusa che tanto non succede nulla; nonché le forze di polizia o gli altri soggetti della giustizia penale non registrano le finalità di odio omofobico e transfobico che caratterizzano i reati, perché non le riconoscono o perché – come ho accennato – il dato non rientra tra quelli da registrare sulla base della legislazione vigente. Questa situazione, oltre a far diminuire il sentimento di fiducia delle persone nelle istituzioni, rivela l’esistenza di un grande sommerso.
In questo deprecabile contesto, i dati di cui disponiamo sono quelli che provengono dalle associazioni[9], dai servizi che supportano le vittime[10] e dal Rapporto annuale sui crimini d’odio dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE)[11]. Mi concentrerò su questi ultimi perché sono quelli ufficiali.
I dati italiani pubblicati da OSCE sono forniti combinando i dati del “Sistema di Indagine – SDI” (estratti dal CED interforze delle forze di polizia) e le segnalazioni che provengono all’Osservatorio per la Sicurezza Contro gli Atti Discriminatori (OSCAD). In particolare, i dati SDI attengono ai reati con finalità discriminatorie che hanno “copertura normativa”, ossia relativi a “razza, etnia, nazionalità, religione e appartenenza a minoranze linguistiche nazionali” previsti dalla legge Mancino-Reale e ora riprodotti negli articoli 604-bis e 604-ter del codice penale[12], mentre le segnalazioni OSCAD riguardano gli ambiti discriminatori privi di specifica copertura normativa relativi, per esempio, a orientamento sessuale e identità di genere.
Questo sistema di comunicazione dei dati ha cominciato a funzionare dal 2014. Fino al 2013, l’Italia comunicava all’OSCE non più di 50/60 casi all’anno di crimini d’odio per le caratteristiche coperte dalla legge Mancino-Reale. Dal 2014 i casi sono diventati 596, poi 736, poi 1048 e nel 2018 1111. Non è che i reati per crimini d’odio siano improvvisamente esplosi, ma si dispone ora di più dati perché c’è un ufficio che li cura e lavora in modo specialistico, nonostante permangano diversi gap e ci siano problemi di conoscenza dei dati “a valle”, ossia relativi ai processi penali e alle condanne che sono però di competenza del Ministero della Giustizia.
Mi preme osservare che se esistono problemi relativi alla raccolta e alla conoscenza completa dei dati sui crimini d’odio con “copertura normativa”, è facile raffigurarsi le difficoltà che esistono nel raccogliere i dati e conoscere i crimini d’odio omofobici, bifobici e transfobici, che – oltre a subire under-reporting e under-recording – hanno il ricordato problema di mancanza di copertura normativa che rende impossibile l’estrazione di dati con valenza statistica. E sono dati che subiscono anche il fatto che OSCAD è un ufficio poco conosciuto a cui pochi, tra associazioni, forze di polizia e altri soggetti, inviano i dati in loro possesso.
Pur con tutti questi limiti, a gennaio 2020, OSCAD ha comunicato i dati forniti all’OSCE relativi a crimini d’odio di cui sono state vittime persone omosessuali e trans: si tratta di 38 casi nel 2016; 63 nel 2017; 100 nel 2018; 82 nel 2019, ma il dato 2019 non è consolidato[13].
Se i numeri fossero solo questi si tratterebbe di 1 reato ogni 4 giorni e sarebbe già una situazione allarmante, visto che colpisce una minoranza della popolazione, ma da un punto di vista statistico questi numeri non dicono nulla, sono poco più che una traccia grave e pesante di un fenomeno più vasto e diffuso che l’Italia nega o finge che non esista.
Sulla scorta degli elementi conoscitivi che ho illustrato fin qui, posso rispondere alla domanda che mi ero posto all’inizio affermando senza dubbio alcuno che l’intervento legislativo recato dalle proposte di legge in esame è necessario, essendo evidente e urgente il bisogno di porre un argine in Italia al diffuso e sottostimato fenomeno delle persone omosessuali, bisessuali e trans vittime di crimini d’odio, molti dei quali rimangono impuniti, anche quando si tratta di reati comuni.
Inoltre, come ho ricordato, la richiesta di introduzione di una norma penale che punisca i crimini d’odio omotransfobico proviene da parte di tutte le istituzioni a livello internazionale (tra cui Unione europea, Consiglio d’Europa, ONU). Infine, le disposizioni di questo tipo fanno parte dell’ordinamento penalistico di molti paesi che condividono una tradizione giuridica comune all’Italia a conferma di un problema che non è soltanto italiano e che altrove si fronteggia.
Devo escludere, inoltre, la possibilità che le finalità perseguite dalle proposte di legge in esame si possano raggiungere mediante il ricorso a fonti diverse dalla legge, dal momento che in materia penale la nostra Costituzione pone una riserva di legge.
La soluzione legislativa prospettata dalle proposte legislative abbinate che stiamo esaminando è la migliore?Tutte integrano le previsioni della c.d. legge Mancino-Reale, la cui parte più significativa – come ho già detto – è ora riprodotta negli articoli 604-bis e 604-ter del Codice penale. La scelta appare del tutto ragionevole e condivisibile, dal momento che quelle disposizioni penalistiche espressamente prevedono e puniscono crimini d’odio, sia con la previsione di specifici reati, sia con un’aggravante per i reati comuni. D’altra parte, la tecnica legislativa e la scelta di estendere l’elenco delle caratteristiche personali protette dai crimini d’odio è la stessa già seguita dal Parlamento altre due volte quando in passato sono stati aggiunte alle altre caratteristiche già previste i motivi religiosi (art. 2, comma 5, legge n. 101 del 1989) e le minoranze linguistiche (art. 18-bis, legge n. 482 del 1999).
Peraltro, giova ricordare che l’“orientamento sessuale” è un “ground”, ovvero una caratteristica personale, che compare ormai da decenni in tutti gli elenchi “standard” delle condizioni personali che espongono o possono esporre la persona a situazioni di particolare vulnerabilità e nella specie a crimini d’odio, sotto forma di discriminazioni e violenze. Fare un elenco delle carte e delle fonti normative e non che lo contengono non mi è consentito per ragioni di tempo e mi limiterò a citare l’articolo 10 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea; l’art. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea; la normativa anti-discriminatoria in materia di lavoro di cui al decreto-legislativo n. 216 del 2003 e, infine, l’articolo 10 del decreto legislativo n. 276 del 2003 che punisce penalmente le agenzie per il lavoro e gli altri soggetti pubblici e privati che svolgano qualsivoglia indagine o comunque trattamento di dati inerenti alcune caratteristiche personali dei lavoratori e delle lavoratrici, tra cui l’orientamento sessuale [14].
Riguardo alle dizioni “orientamento sessuale” e “identità di genere” utilizzate dalle proposte di legge, esse sono certamente corrette e non pongono alcun problema di determinatezza della norma penale. A parte l’evidenza, già ricordata, che l’espressione “orientamento sessuale” è presente tra le norme penali italiane da oltre tre lustri, merita ricordare che a livello legislativo e giurisprudenziale – anche di giurisprudenza costituzionale –[15] esse indicano univocamente delle caratteristiche personali che sono garantite alla stregua di diritti fondamentali essendo componenti dell’identità personale di ogni essere umano. Sottolineo, inoltre, che queste dizioni sono anche rispettose dell’articolo 3 della Costituzione in quanto includono nella tutela penale tutte le persone che potrebbero essere vittima di crimini d’odio in ragione del proprio orientamento sessuale o identità di genere, quindi, anche le persone con orientamento eterosessuale o con identità cis-gender, parola che vuol dire avere una identità di genere conforme al genere e al sesso assegnato alla nascita.
Mi preme evidenziare che mai nella letteratura scientifica, né nelle leggi italiane o di altri paesi, né nei provvedimenti sovranazionali o internazionali, né nei documenti di soft law, né nella giurisprudenza, né – infine – nel linguaggio comune le espressioni “orientamento sessuale” o “identità di genere” indicano o sono utilizzate per indicare o per includere comportamenti, pratiche o azioni, lecite o meno che siano, che una qualunque persona può mettere in atto nella sua vita. Per esempio, sadismo, masochismo, voyeurismo o anche semplicemente una stretta di mano non sono orientamenti sessuali o identità di genere e nessuna confusione su questo punto è possibile o consentita.
Sempre in ossequio al rispetto del principio di determinatezza della norma penale, sarebbe invece preferibile non fare ricorso alle parole “omofobia” e “transfobia”, che si rinvengono nella solo proposta di legge n. 868 Scalfarotto, perché se nel linguaggio comune sono chiari i concetti recati da questi lemmi, essi pongono un problema di determinatezza della norma penale e soprattutto fanno riferimento a elementi psicologici dell’agente, il cui accertamento pone notevoli problemi, a differenza di “orientamento sessuale” e “identità di genere” che fanno riferimento a caratteristiche personali delle vittime.
È condivisibile, invece, come possibile alternativa, la soluzione contenuta nella proposta di legge n. 107 Boldrini, che ricorre all’espressione “identità sessuale” – che si ritrova nella giurisprudenza costituzionale -, di cui l’articolo 1 della proposta reca la definizione e che al suo interno include anche l’ “orientamento sessuale” e l’ “identità di genere”.
La proposta di legge n. 2255 Bartolozzi inserisce “il genere” nell’elenco delle caratteristiche personali protette dalla legge Mancino-Reale. Personalmente non trovo alcuna controindicazione alla possibilità che accanto all’orientamento sessuale e all’identità di genere siano inserite anche altre condizioni personali protette dalla norma. D’altra parte, anche il genere compare sempre più spesso, in documenti e atti normativi, tra le condizioni da proteggere.
Mi preme affrontare un altro aspetto che inevitabilmente diviene centrale nella discussione sulle proposte di legge in esame, ovvero quello del possibile contrasto con il principio costituzionale della libertà di espressione. Va ricordato che la legge Mancino-Reale e ora l’articolo 604-bis prevedono e puniscono tre distinte fattispecie: 1) la propaganda di idee; 2) l’istigazione alla discriminazione o alla violenza; 3) la discriminazione e la violenza agite.
Il tema del rapporto tra la repressione penale dei crimini d’odio e la libertà di espressione (art. 21 Cost.) si pone in via prevalente con riferimento alla fattispecie della propaganda di idee. Tuttavia, nel presente caso non vi è ragione di discuterne dal momento che nessuna delle proposte di legge chiede di includere l’orientamento sessuale e l’identità di genere nel divieto di propaganda di idee, che rimane circoscritto alla “superiorità o all’odio razziale o etnico”. Sottolineo, però, che la sola proposta n. 2255 Bartolozzi – in maniera del tutto innovativa – chiede l’introduzione del solo fattore “genere” anche nella propaganda di idee, ma valuteranno i Commissari la portata, l’opportunità o la correttezza di questa proposta.
Limitandomi all’analisi che mi sono prefisso di svolgere, ribadisco che mai nessuna proposta di legge, neanche nelle passate legislature, ha mai chiesto un’estensione del divieto di propaganda di idee all’orientamento sessuale o all’identità di genere[16]. Pertanto, sbagliano per non conoscenza del dettato legislativo e delle innovazioni apportate da queste proposte di legge coloro che sostengono che la loro approvazione vieterebbe in Italia la possibilità di esprimere un’idea o un parere, per esempio, contro il matrimonio tra persone dello stesso sesso o la genitorialità delle persone omosessuali. L’espressione di tali pensieri continuerà a essere legittima e libera, condivisibile o meno che sia, ma va detto che lo sarebbe anche nel caso non previsto di estensione della fattispecie di propagande di idee.
Con riferimento, invece, alla fattispecie dell’istigazione alla discriminazione o alla violenza, il tema del rapporto con la libertà di espressione si atteggia in maniera completamente distinta, ed è stato già affrontato e risolto dalla giurisprudenza più volte. Come ho già ricordato, la tecnica legislativa seguita dalle proposte di legge in esame si limita a estendere la fattispecie penale che oggi vige per i motivi “razziali, etnici, nazionali o religiosi” includendovi anche l’orientamento sessuale e l’identità di genere. Su queste fattispecie si è stratificata una giurisprudenza che continua a prodursi da ben 45 anni, mentre da 31 anni con riferimento al fattore religioso e da 21 anni con riferimento alle minoranze linguistiche. In particolare, la Suprema Corte di Cassazione ha enucleato gli elementi che devono ricorrere ed essere valutati perché si abbia la concreta pericolosità del fatto e si possa ritenere di essere in presenza di un reato di istigazione.
Le non molte volte che in tanti anni di applicazione della legge gli imputati hanno chiesto alla Corte di cassazione o alle corti di merito di sollevare questione di costituzionalità per contrasto con l’articolo 21 della Costituzione, i giudici le hanno sempre respinte utilizzando plurime e fondate motivazioni, con le quali hanno reso chiaro che «la libertà di manifestazione del pensiero cessa quando trasmoda in istigazione alla discriminazione e alla violenza di tipo razzista» o per motivi etnici, nazionali o religiosi che «ha un contenuto fattivo di istigazione a una condotta che realizza un quid pluris rispetto alla mera manifestazione di opinioni personali, rendendo manifestamente infondate le questioni di costituzionalità sollevate»[17].
La Corte di cassazione ha avuto modo di esprimersi anche sulla compatibilità della normativa recata dalla legge Mancino-Reale, con riferimento all’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti umani, che è corrispettivo dell’articolo 21 della Costituzione italiana. In una recentissima pronuncia la Corte ha svolto una disamina della giurisprudenza della Corte EDU, ricordando quanto «la necessità dell’incriminazione di ogni forma di incitamento all’odio [sia] stata costantemente ribadita dai giudici di Strasburgo» e come «la consolidata giurisprudenza della Corte in tema di hate speech si esprime, innanzitutto, nel senso che l’istigazione all’odio non richiede necessariamente il riferimento ad atti di violenza o delitti già consumati in danno del ricorrente, in quanto i pregiudizi rivolti alle persone ingiuriando, ridicolizzando o diffamando talune frange della popolazione e isolandone gruppi specifici – soprattutto se deboli – o incitando alla discriminazione, sono sufficienti perché le autorità interne privilegino la lotta contro il discorso razzista, a fronte di una libertà di espressione irresponsabilmente esercitata e che provoca offesa alla dignità e alla sicurezza di queste parti o gruppi della popolazione (Corte Edu, Feret c. Belgio, ric. n. 15615/07, 16 luglio 2009, p. 73)»[18].
In questo contesto normativo e giurisprudenziale appare francamente pretestuosa l’opposizione – sulla base del contrasto con la libertà di espressione – all’estensione della Mancino-Reale all’orientamento sessuale e all’identità di genere, perché identico problema bisognerebbe porsi – altrettanto pretestuosamente – per giustificare l’eliminazione – per esempio – del fattore religioso o delle minoranze linguistiche che la legge oggi include. L’eliminazione di questi e altri fattori dalla legge Mancino-Reale sarebbe contraria alla realizzazione degli articoli 2 e 3 della Costituzione, così come lo sarebbe continuare a non includervi l’orientamento sessuale e l’identità di genere che in nulla si differenziano dagli altri fattori in termini di necessità di protezione penale dai crimini d’odio. Come ha avuto modo di affermare più volte la Cassazione: «l’oggetto specifico della tutela penale [in questi] reati non era e non è costituito dall’ordine pubblico, il quale ha rilevanza indiretta, ma dalla tutela della dignità umana»[19] e come si appalesa dalla formulazione della legge è evidente «la prevalenza dei principi di pari dignità e di non discriminazione rispetto a quello di libertà di espressione»[20] che non è senza limiti, ma si bilancia come e con tutti gli altri principi costituzionali.
È necessario, dunque, rifuggire dal grande equivoco che quando si parla della protezione penale delle persone omosessuali, bisessuali e trans si stia parlando di altro che non sia la garanzia dei loro fondamentali diritti costituzionali, a partire dalla dignità personale e dal poter vivere in sicurezza in ogni luogo pubblico o privato dell’Italia.
In chiusura riservo poche osservazioni alle previsioni recate solo da alcune proposte di legge. In particolare, la proposta di legge 107 Boldrini (che a causa del deposito in quasi concomitanza con l’entrata in vigore del decreto legislativo n. 21 del 2018 non tiene conto dell’introduzione degli articoli 604-bis e ter del Codice penale) all’articolo 5 crea l’Autorità garante della parità di trattamento e della rimozione delle discriminazioni, mentre la proposta di legge 2171 Perantoni contiene diverse altre misure che vanno nella direzione di dare sostegno alle persone omosessuali e trans che subiscono discriminazioni e violenze. In questo senso sono riconosciute la condizione di particolare vulnerabilità, l’ammissione al gratuito patrocinio e la creazione di centri per il sostegno delle vittime. Tutte queste misure sono coerenti e in linea con l’intervento principale dell’estensione della legge Mancino-Reale all’orientamento sessuale e all’identità di genere, perché come dimostrato dall’esperienze dei reati che colpiscono particolarmente le donne, la tutela penale è necessaria ma in sé stessa può non risultare sufficiente e non esaurisce tutti i bisogni che hanno le vittime.
Di particolare pregio è l’articolo 6) che affida all’ISTAT la rilevazione almeno triennale delle discriminazioni e delle violenze commesse in ragione dell’orientamento sessuale, dell’identità di genere o del ruolo di genere della vittima, misurandone le caratteristiche fondamentali e individuando i soggetti più a rischio. Tuttavia, servirebbe fornire questa disposizione di una copertura finanziaria perché l’obiettivo è difficilmente raggiungibile facendo conto sulle sole risorse dell’Ente. Al contempo sarebbe necessario potenziare e razionalizzare la raccolta di dati sui crimini d’odio da parte di OSCAD, che poi li mette a disposizione di ISTAT, come degli organismi internazionali (OSCE), stanziando risorse e trovando le migliori soluzioni tecniche, nonché di altra natura, che migliorino le caratteristiche dei database e facciano comunicare tra quello delle forze di polizia e quello/i del Ministero della giustizia su processi e condanne per avere dati completi e un monitoraggio che restituisca in maniera completa e corretta la situazione in materia di crimini d’odio.
[1] Fundamental Rights Agency (FRA), Protection against discrimination on grounds of sexual orientation, gender identity and sex characteristics in the EU. Comparative legal analysis. Update 2015, paragrafo 3.4.4. pagg.62-65 e Tavola 4, pag. 67, 2015. Il documento è disponibile sul sito dell’Agenzia al seguente url: https://fra.europa.eu/en/publication/2015/protection-against-discrimination-grounds-sexual-orientation-gender-identity-and .
[2] ILGA Europe, Rainbow Europe, 2020. I dati sono disponibili nella sezione “Download data” del sito https://rainbow-europe.org/ .
[3] Council of Europe, Recommendation CM/Rec(2010)5 on measures to combat discrimination on grounds of sexual orientation or gender identity, Allegato I, lettera A), 2010. Documento disponibile sul sito della Consiglio d’Europa, all’indirizzo: https://www.coe.int/en/web/sogi/adopted-texts. Versione in italiano: https://rm.coe.int/CoERMPublicCommonSearchServices/DisplayDCTMContent?documentId=09000016804c6add .
[4] Parlamento europeo, Sulla tabella di marcia dell’UE contro l’omofobia e la discriminazione legata all’orientamento sessuale e all’identità di genere(2013/2183(INI)),Risoluzione A7-0009/2014, 8 gennaio 2014, lettera J. Documento disponibile sul sito del Parlamento europeo all’indirizzo: Https://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//TEXT+REPORT+A7-2014-0009+0+DOC+XML+V0//IT .
[5] United Nations, Human Rights, Office of the High Commisioner, Discrimination and violence against individuals based on their sexual orientation and gender identity, Report of the Office of the United Nations High Commissioner for Human Rights, paragrafo 78, lettera a), 4 maggio 2015. Documento disponibile sul sito dell’Alto Commissario, all’indirizzo: https://www.ohchr.org/EN/Issues/Discrimination/Pages/LGBTUNReports.aspx .
[6] Segnalo, inoltre, il documento “Ending violence and discrimination against lesbian, gay, bisexual, transgender and intersex people” redatto nel settembre 2015 da 12 organismi nel quale si ribadisce la richiesta dell’intervento penale. Il documento è disponibile sul sito dell’OMS, all’indirizzo: www.who.int/reproductivehealth/publications/gender_rights/lgbti-un-statement. Il testo in traduzione italiana è disponibile al seguente indirizzo: https://lecosecambiano.roma.it/pdf/Porre-fine-alla-violenza-e-alla-discriminazione-contro-le-persone-LGBTI.pdf.
[7] European Commission, Special Eurobarometer 493: Discrimination in the EU (including LGBTI), 2019. Documento disponibile sul sito della Commissione, all’indirizzo: https://ec.europa.eu/commfrontoffice/publicopinion/index.cfm/Survey/getSurveyDetail/search/discrimination/surveyKy/2251 .
[8] Istituto Nazionale di Statistica, La popolazione italiana nella società italiana, 2012. Il documento della ricerca statistica è disponibile all’indirizzo: https://www.istat.it/it/archivio/62168 .
[9] Per esempio, annualmente Arcigay pubblica un report con il quale effettua il monitoraggio delle notizie apparse sulla stampa relativi a episodi di omofobia e transfobia. Nel report del 2020 gli episodi registrati sono stati 138, mentre l’anno precedente erano 187 e nel 2018 119. I report sono consultabili sul web. Quello del 2020 è disponibile al seguente indirizzo: https://www.arcigay.it/en/comunicati/omotrasfobia-138-storie-nel-report-arcigay-maglia-nera-al-nord-li-la-maggioranza-delle-aggressioni/#.Xs2IbWgza01.
[10] Si tratta di servizi gestiti da diverse associazioni in Italia che attraverso telefoni amici gestiti da volontari raccolgono le richieste provenienti da vittime e offrono supporto e consulenza.
[11] Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, Ufficio per le istituzioni democratiche e per i diritti umani, Hate crimes reporting. I dati relativi all’Italia sono pubblicati all’indirizzo: http://hatecrime.osce.org/italy.
[12] Per la disabilità vengono combinati i dati SDI relativi alla contestazione della circostanza aggravante di cui all’art. 36 L.104/1992 con le segnalazioni OSCAD concernenti lo specifico ambito discriminatorio. Con riferimento ai dati relativi ai crimini d’odio che hanno “copertura normativa”, l’OSCE richiede dati disaggregati per specifica motivazione discriminatoria, ma l’Italia riesce a fornire solo un dato complessivo giacché non possono essere estrapolate dal Sistema di Indagine le violazioni distinte per i singoli ambiti, ad esempio: quante violazioni riguardino, rispettivamente, “razza”, etnia, nazionalità, religione e, in riferimento a tale ultimo contesto, quante siano riferibili ad antisemitismo, islamofobia, odio anticristiano. La fonte di questi dati è quella citata nella nota n. 12.
[13] La tabellina è contenuta nella nota: “OSCAD e il monitoraggio dei reati di matrice discriminatoria” diffusa alla stampa in concomitanza del convegno “Le vittime dell’odio” che si è svolto a Roma il 21 gennaio 2020 presso la Sala Polifunzionale della Presidenza del Consiglio dei Ministri, organizzato da OSCAD, a cui è intervenuta la Ministra dell’Interno. Informazioni sul convegno e sui dati si possono reperire ai seguenti indirizzi: https://www.interno.gov.it/it/notizie/i-crimini-dodio-prevenzione-passa-attraverso-cultura-e-memoria;https://www.repubblica.it/cronaca/2020/01/21/news/discriminazione_in_un_anno_raddoppio_dei_crimini_di_odio-246284835/.
[14] L’articolo 18, comma 5, del decreto legislativo n. 276 del 2003, stabilisce che in caso di violazione dell’articolo 10 trovano applicazione le disposizioni di cui all’articolo 38, rubricato “Disposizioni penali”, della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Statuto dei lavoratori). Il decreto legislativo n. 276 del 2003, di attuazione della legge c.d. Biagi, porta la firma del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Maroni, e del Ministro della Giustizia, Castelli.
[15] Mi limito a rinviare ai non pochi riferimenti legislativi e giurisprudenziali indicati nella Scheda di lettura n. 217 predisposto dall’Ufficio studi della Camera per l’iter legislativo oggetto di questo intervento.
[16] Anche il dossier dell’Ufficio studi della Camera non rende chiaro che nell’art. 604-bis, lettera a) ci sono due distinte fattispecie (Scheda di lettura n. 217, pag. 5). Solo a pagina 16 il dossier precisa che: «Nel modificare la lett. a) dell’art. 604-bis la proposta di legge non amplia l’ambito di applicazione del reato di propaganda, ma solo del reato di istigazione a commettere atti di discriminazione e del reato consistente nel compimento di tali atti».
[17] Si cita, per tutte, Cassazione penale, Sez. I, 27/03/2019, n.21409, che al suo interno sul punto richiama i precedenti Cassazione penale, Sez. III, 3/10/2008, n. 37581 e Sez. V, 24/8/2001, n. 31655.
[18] Cassazione penale, Sez. V, 07/05/2019, n. 32862, paragrafi da 4.1 a 4.3.
[19] Tra le altre, Cassazione penale, Sez. III, 13/12/2007, n.13234.