Roma Pride 2020
«Oggi sarebbe dovuto essere il giorno della nostra grande parata. Lo avevamo deciso già un anno fa. Poi il mondo si è fermato e ora, per rispetto verso chi ha sofferto e per non correre altri rischi, scegliamo di evitare di starci troppo vicini»
Queste le parole che aprono la campagna del Roma Pride 2020, dedicata a come le persone LGBTI hanno vissuto durante il periodo di lockdown, nel quadro generale della pandemia.
«Quest’anno il Roma Pride, con grande senso di responsabilità, si è fermato perché non era possibile chiamare i grandi numeri della nostra piazza garantendo la sicurezza per tutte e tutti – dichiara Sebastiano Secci portavoce del Roma Pride e presidente del Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli che continua: Il Pride è contaminazione, sovrapposizione di spazi, di lotte, di esperienze e di vite. Dal 1994 andare al Roma Pride significa attraversare le strade della nostra città con le nostre musiche, i nostri carri ma soprattutto i nostri corpi e le nostre rivendicazioni. In piazza portiamo le nostre istanze sociali, politiche e culturali ma lo facciamo rivendicando anche un modo di manifestare il nostro orgoglio che appartiene, ormai da oltre 50 anni, alla comunità LGBTQAI+ internazionale»
La campagna racconterà nei prossimi giorni sei storie diverse, che rappresentano una «comunità che ha lottato anche durante quest’emergenza, e di certo non si fermerà ora»
Tra i volti della campagna gli attivisti Milo Serraglia, Filippo Riniolo e Deborah di Cave, già presidente del Circolo Mario Mieli negli anni ’90.
Il documento politico
«Durante il lockdown – si legge nel documento politico – abbiamo ancora una volta sperimentato cosa significa essere discriminate dalla società e dallo Stato. Lo abbiamo visto quando non potevamo andare in giro con i nostri figli e le nostre figlie perché lo Stato si ostina a non riconoscere il fatto che siamo anche genitori; quando avevamo paura a uscire di casa perché il nostro documento di identità rivela la nostra transizione di genere; quando, per spiegare alle forze dell’ordine chi era la persona da cui stavamo andando, ci siamo sentiti costrette a fare coming out»
L’appello per una legge
Le storie della campagna Roma Pride 2020 introducono infine un chiaro appello al Parlamento, che si appresta discutere la legge contro l’omolesbobitransfobia, nota anche come ddl Zan:
«Manca ancora nel nostro Paese una legge contro l’omo-lesbo-bi-trans-intersex-afobia, che combatta questo pericoloso fenomeno che mette a rischio le nostre vite. Provvedimenti come questi devono confrontarsi con le esigenze e le rivendicazioni della nostra comunità. La lotta all’omo-lesbo-bi-trans-intersex-afobia non può esaurirsi nel riconoscimento dei crimini d’odio. A maggior ragione quando in troppi ambiti è lo stesso Stato a non riconoscere i nostri diritti e la nostra dignità. Lo Stato deve affrontare il fenomeno in un’ottica laica e più ampia, valutandone le diverse matrici e intervenendo su esse con misure concrete di supporto alle strutture di accoglienza e aiuto, il potenziamento e l’autonomia dell’UNAR, disposizioni di monitoraggio per l’ISTAT».
Le discriminazioni in famiglia
L’appello alla necessità di una legge assume ancora più forza alla luce della forte denuncia espressa nel documento nel tema delle discriminazioni in famiglia, della quarantena forzata e delle limitazioni imposte dal governo con il temine “congiunto” all’indomani del 4 maggio:
«Molte di noi non hanno una casa in cui vivere o non hanno una famiglia, spesso proprio perché queste erano una tortura. Molti di noi, negli anni, hanno costruito legami affettivi alternativi che sono stati totalmente ignorati e negati, imponendo per decreto una gerarchia qualitativa delle nostre relazioni»