Domenica 28 il presidente Sergio Mattarella sarà a Bergamo per presenziare al Requiem di Donizetti, che sarà eseguito presso il locale cimitero in ricordo delle migliaia di vittime del Covid-19. In vista della visita ufficiale del Capo dello Stato è iniziato da ieri, alle 18:00, davanti alla sede del Comune orobico un presidio continuo per protestare contro la gestione dell’emergenza sanitaria e raccontare come è stata vissuta la pandemia dalle singole persone. Storie che, come recita il comunicato, «aggiungono un frammento, ognuno il proprio, alla realtà che – noi lo sappiamo perché l’abbiamo vissuta – non è quella che viene oggi narrata».
Il comitato promotore ha consegnato al sindaco Giorgio Gori una lettera da far pervenire a Mattarella nella speranza di un breve incontro. Per saperne di più abbiamo raggiunto Eliana Como, componente del direttivo di Cgil nazionale e portavoce dell’area di opposizione del sindacato, che, nei giorni scorsi, ha aderito alla campagna nazionale Da’ voce al rispetto per l’approvazione della legge contro le violenze e discriminazioni per orientamento sessuale, identità di genere e genere.
Eliana, il presidente Mattarella sarà domani a Bergamo. Che cosa vi ha spinto a manifestare in contemporanea?
È la prima volta che Mattarella viene a Bergamo dall’inizio dell’epidemia. Non abbiamo deciso questa manifestazione per metterci in contrapposizione al Requiem. Vogliamo però dire che a noi non basta l’esecuzione del brano di Donizetti, vanto per la nostra città, a voltare pagina. Non ci basta per elaborare un lutto, che questa città e l’intera regione hanno vissuto in questi mesi. Perché per elaborare un lutto, noi vogliamo raccontare quello che è successo e, raccontandolo, dire mai più. Perché ci sono responsabilità nella gestione dell’epidemia: questa è una strage che si poteva e si doveva evitare. Responsabilità che vanno definite. Noi vorremmo che i responsabili di quanto accaduto, politici e morali, lo siano anche di fronte alla storia.
Noi abbiamo anche chiesto di poter incontrare Mattarella: noi non ci aspettiamo risposte dal presidente. Pensiamo che parlare con lui possa essere un modo di provare a parlare con tutti. Parlare anche con quelli che non si sono mai posti prima problemi, in realtà strutturali di questa società, e che sono semplicemente esplosi durante la pandemia. Sono decenni che la sanità pubblica viene tagliata. I posti letti non c’erano già prima, le classi pollaio, per cui non abbiamo potuto riaprire subito la scuola pubblica, erano già esistenti. Il fatto che il profitto delle imprese venisse così sfacciatamente prima della sicurezza di chi lavora e della salute delle persone era già esistente, ma è esploso durante l’emergenza. Aspetti tutti che, pur riguardando l’intero Paese, hanno avuto in Lombardia un’accentuazione particolare.
I sindacati hanno avuto un ruolo efficace o avrebbero dovuto fare di più?
Il sindacato non ha fatto abbastanza. Quando prima parlavo di responsabilità, che oso definire criminali, mi riferivo non solo alle istituzioni politiche a tutti i livelli, a quelle morali di Confindustria e dei padroni che non hanno voluto che la produttività si fermasse a discapito della salute e sicurezza di chi lavora. Ma anche il sindacato ha la sua responsabilità. Sin da subito ho chiesto che la Val Seriana andava chiusa, le fabbriche andavano chiuse. Credo che, se non fossimo stati solo noi a chiederlo con tanta forza ma anche i vertici sindacali, soprattutto nazionali, di Cgil, Cisl e Uil, i risultati sarebbero stati diversi. A un certo punto a metà marzo le fabbriche hanno iniziato a fermarsi, grazie soprattutto all’enorme livello di assenteismo specialmente nelle fabbriche grandi e poi sono esplosi gli scioperi dal basso.
Distinguo ovviamente tra responsabilità ed errore. Ma credo che sia stato un errore storico da parte di Cgil nazionale essere arrivati solo al 22 marzo a chiedere il lockdown, cioè due ore prima prima che Conte l’annunciasse. Le attività produttive non essenziali andavano fermate sin da subito. A monte, poi, l’aver condiviso, il 27 febbraio, con Confindustria, da parte di Cgil, Cisl e Uil, un documento che diceva che bisognava tornare subito alla normalità. All’epoca c’era soltanto la zona rossa, dunque chiusa, del Lodigiano, mentre il contagio stava esplodendo in Val Seriana. Un errore dunque enorme, da parte di Cgil, Cisl e Uil, inseguire Confindustria: credo che noi avremmo dovuto alzare molto di più la voce. Nel mio piccolo ci ho provato e continuerò a provarci.
Da ieri hai iniziato lo sciopero della fame. Perché una tale decisione?
Ho deciso d’iniziare da ieri – in concomitanza con l’inizio del presidio – lo sciopero della fame. Credo che ci sono dei momenti così gravi che sono gli stessi nostri corpi a ribellarsi e che, per poter essere ascoltati, è necessario metterli in gioco nelle primarie esigenze esistenziali. Credo che ci sono dei momenti spartiacque nella propria vita e credo che quello attuale lo sia per me. Tu lo sai da sempre che il sistema è ingiusto, lo sai da sempre. Ma ci sono dei momenti in cui questa ingiustizia stravolge la tua stessa vita, di un’intera città, di un’intera regione, di intere generazioni. Sono dunque pronta a mettermi in gioco, a mettere in gioco il mio corpo attraverso lo sciopero della fame.
Non è un gesto di disperazione: io non sono disperata, sono arrabbiata, Arrabbiata come le tante cittadine e cittadini di Bergamo, che hanno organizzato questo presidio. So di non essere sola: ho la consapevolezza che stiamo costruendo con questo presidio una storia collettiva a partire dalle nostre storie. So che tante delle mie compagne, con cui sono in una relazione di sorellanza femminista, si stanno preoccupando. A loro dico di non preoccuparsi: so quello che sto facendo. Credo che sia il meno rispetto a quello che abbiamo vissuto collettivamente in questa città: il suono dell’ambulanza, che sentivamo passare per giorni in un silenzio irreale, è qualcosa che ci accompagnerà per sempre. Piuttosto chiunque può passi al presidio, a salutarci e a raccontare quello che è successo.