Da giornalista di Radio Popolare a consigliera regionale del Lazio come capogruppo della Lista Civica Zingaretti fino all’associazione Pop, idee in movimento, che ha ideato e lanciato il 14 gennaio scorso. Ma, al momento, per Marta Bonafoni c’è anche un impegno in più: quello a sostegno della legge contro l’omotransfobia e la misoginia, che l’ha vista aderire alla campagna nazionale Da’ voce al rispetto e scendere in piazza l’11 luglio al Pantheon.
Consigliera Bonafoni, quello dell’omotransfobia è un tema quanto mai attuale. Perché, secondo lei, serve una legge?
Credo che sia indispensabile partire dagli interessi in gioco: libertà, dignità, identità, eguaglianza, sicurezza, diritti universali. La possibilità di essere felici. L’impianto antidiscriminatorio italiano deve essere integrato poiché l’incidenza quotidiana della violenza di genere è sempre più impattante sulla vita quotidiana di ognuno e ognuna di noi. Credo che il testo proposto da Alessandro Zan costituisca un passaggio necessario per ampliare le tutele e per fornire strumenti necessari per rispondere all’odio che ancora oggi si manifesta con così tanta forza. Episodi di odio, intolleranza e discriminazione basati sull’orientamento sessuale sono, negli ultimi anni, aumentati enormemente e sono entrati a far parte della cronaca quasi quotidiana con una semplicità e una facilità che lascia senza parole. Approvare un disegno di legge che legittima i diritti delle persone omosessuali – prevedendo l’applicazione del codice penale anche per chi istiga alla violenza – farà allineare il panorama legislativo italiano con quello degli altri Paesi dal momento in cui il nostro Paese non dispone né contempla (se non indirettamente attraverso l’art. 3 della Costituzione) disposizioni normative su discriminazioni fondate sull’orientamento sessuale della vittima.
Il numero delle aggressioni verso le persone Lgbti+ non tende a scemare. Quale la causa a suo avviso?
Alcuni dati presi dal report stilato dall’Arcigay in occasione della Giornata Mondiale contro l’omofobia, rendono macroscopico il fenomeno: sono 134 le storie di omotransfobia emerse (più 4 relative all’anno precedente ma arrivate solo dopo in fase giudiziaria). Un totale di 138 episodi, dei quali 74 avvenuti nel Nord Italia, 30 al Centro, 21 al Sud e 13 nelle Isole. 32 vicende hanno a che fare con vere e proprie aggressioni, 13 sono adescamenti a scopo di rapina, ricatto o estorsione, 9 sono violenze familiari, 31 sono discriminazioni o insulti in luoghi pubblici,17 sono scritte infamanti su muri, auto, abitazioni, 25 sono episodi di hate speech e di incitazione all’odio, online e offline, scatenati da esponenti politici, gruppi, movimenti. Le persone Lgbti+ sono quindi spesso bersagli privilegiati di rapine, pestaggi, stupri, ricatti ed estorsioni, di derisione, di insulti, di limitazioni alle libertà personali, di discriminazioni, di bullismo a scuola, di mobbing sul lavoro. Ma la violenza cresce, in tutti gli ambiti della vita, quindi occorre battersi quotidianamente su questo fronte per evitare tutto ciò credo sia inevitabile.
È nota l’opposizione di parte del femminismo all’espressione “identità di genere” nella legge. Come donna e come persona impegnata nella lotta contro ogni forma di violenza, cosa ne pensa
L’espressione “identità di genere”, viene nominata nel testo insieme a sesso, genere e orientamento sessuale. Parlare di identità di genere ha spesso scatenato più violenza di quanta già ce ne fosse. L’autodeterminazione circa l’identità e il ruolo che ognuno di noi sceglie di avere deve essere tutelata per non creare l’effetto inverso scatenando ancora di più discriminazioni. Questo perché non può di certo essere il sesso con cui nasci o la quantità di ormoni nel nostro corpo a giustificare discriminazioni o violenze. Vorrei ricordare e sottolineare inoltre, che la legge contrasta i crimini d’odio, prendendo in considerazione anche le donne, combattendo non solo l’omotransfobia, ma anche la misoginia. Le discriminazioni violano uno dei diritti alla base della democrazia, il principio di uguaglianza. Non possiamo pensare di essere libere dalle violenze se la violenza continua a ferire. In generale credo che dividerci in questo non faccia altro che prestare il fianco a chi vuole affossare una legge così necessaria.
Lei ha aderito all’appello di Da’ voce al rispetto e ha partecipato all’iniziativa “Spazza l’odio” in piazza del Pantheon. Cosa pensa di questa campagna e del suo claim?
La giornata al Pantheon è stato, a mio avviso, un passaggio necessario e importante per lanciare un messaggio con forza, per dire tutte e tutti insieme che non è più contemplabile che il nostro Paese resti ancora privo di una legge contro l’omo-lesbo transfobia e “farci vedere”, anche considerati i mesi di lockdown e la mancanza quest’anno delle manifestazioni del Pride “Dare voce al rispetto” in maniera inequivocabile per non esporre più nessuno alla violenza di una società che non difende la felicità e i desideri. Una giornata importante quindi, perché segna un passo comune per arrivare ad un risultato che è imperativo raggiungere. E per non lasciare sole le famiglie, troppo spesso esposte alla violenza e alla paura senza una rete di protezione istituzionale ad affiancarle.
Passando ad altro tema, a che punto è la legge regionale in Lazio contro l’omotransfobia?
Già nella scorsa legislatura presentai un testo di legge a cui avevamo lavorato con le associazioni per i diritti Lgbti+. All’inizio di questa seconda legislatura ho ripresentato lo stesso testo. Successivamente, se ne sono aggiunti altri tre, presentati da mie colleghe di maggioranza e dal M5s. A questo punto, abbiamo deciso di unire le forze e lavorare all’elaborazione di un testo unico che possa contemplare i diversi aspetti e specificità di ogni proposta di legge. Posso dire che questa prima parte del lavoro è in dirittura d’arrivo e a breve avremo un testo unico da poter portare in discussione in Commissione alla ripresa e da cui partire per arrivare presto, anzi prestissimo, all’approvazione di una legge regionale.
Parlavamo prima del suo impegno nella tutela dei diritti civili e nella lotta alla violenza. Su tale determinazione hanno influito anche esperienze della tua vita?
Un po’ è la mia indole, un po’ la formazione che ho avuto. Sono figlia di commercianti, ho visto mia madre e mio padre dedicarsi al lavoro senza sosta e con un grandissimo spirito di sacrificio. Poi è arrivata Radio Popolare, una scuola di militanza politica e sociale straordinaria. Poi mio figlio Rocco che oggi ha 17 anni: l’ho cresciuto da sola e quando sei un genitore “single” – come si dice – le energie se non le hai te le inventi. E posso assicurare che le trovi, devi, sempre. E poi c’è un’ultima cosa. La puzza di ingiustizia: io la sento, forte, ogni volta che mi capita di incrociarla. E non la sopporto. E mi metto a combattere con le tante energie che esistono e resistono nella società per trasformarla in profumo di giustizia.