L’intesa sul cosiddetto emendamento “salva idee”, raggiunta giovedì scorso con Forza Italia e con l’area cattolica dei partiti di maggioranza, ha suscitato non poche polemiche tra esponenti sia del mondo Lgbti sia della galassia cattoreazionaria sia pur per motivi contrapposti. I primi hanno gridato a una mediazione al ribasso, che, a parere di alcuni, arriverebbe a inficiare il contenuto stesso del ddl contro l’omotransfobia e la misoginia; i secondi, al contrario, hanno liquidato l’emendamento come insufficiente e ingannevole in quanto resterebbe inalterata la portata “liberticida” del testo in esame.
Apprezzamenti al “salva idee” sono stati registrati soprattutto tra parlamentari del Pd e M5s, non senza qualche parere contrario come nel caso della senatrice pentastellata Maiorino. Silenti al riguardo, o almeno tali sono apparsi, LeU e Italia Viva. Ed è al partito di Renzi che sono state mosse nel merito le maggiori critiche. Abbiamo cercato di capirne il perché con Ivan Scalfarotto, deputato di Italia Viva e sottosegretario agli Affari Esteri e alla Cooperazione internazionale.
On. Scalfarotto, il 23 luglio è stato approvato il cosiddetto emendamento “salva idee” che ha visto apprezzamenti bipartisan. Lei che ne pensa e qual è la posizione di Italia Viva?
Penso che l’essenziale sia arrivare all’approvazione della legge e che per arrivarci, lo dico per esperienza diretta, sia necessario mettere da parte gli approcci ideologici e giungere a una norma efficace. Se per avere i voti in aula – condizione necessaria, lo ricordo, per l’approvazione di una legge – bisogna approvare un emendamento che nulla aggiunge e nulla toglie a quanto già previsto dall’articolo 21 della Costituzione in tema di libertà di espressione, dico pragmaticamente che l’emendamento va benissimo. Teniamo conto inoltre che qui non si sta approvando una norma etica che vuole dare degli imperativi morali: la legge contro l’omotransfobia è una norma penale e da liberale dico che, come tutte le norme penali, essa dev’essere usata con rigore e con cautela. Se questo emendamento rassicurerà e porterà la maggioranza dei parlamentari dalla parte di chi come me è arciconvinto che sia arrivato il momento di avere una norma a contrastare l’odio, la discriminazione e la violenza contro la nostra comunità, e ci consentirà finalmente di approvarla, ben venga.
Da taluni si muove la critica che sarebbe Italia Viva, tra i partiti della maggioranza, a non volere la legge contro l’omotransfobia e la misoginia o a essere comunque tiepida per eventuali avvicinamenti a Forza Italia. Che ne pensa?
Come noto, sette anni fa, da relatore riuscii a far approvare la legge dalla Camera dei deputati e ricordo bene quanto anche nel partito in cui allora militavo, il Partito democratico, esistessero delle resistenze e delle preoccupazioni molto rilevanti rispetto all’approvazione di quella legge. Molti dei colleghi le cui perplessità e i cui dubbi condussero all’approvazione del famigerato emendamento Verini-Gitti – che alla fine risultò fatale per l’approvazione della legge lasciandoci per almeno altri sette anni, fino a oggi, senza una tutela – mi risulta militino ancora nello stesso partito e non ho ragione di pensare che abbiano cambiato idea rispetto al 2013.
Penso dunque che per arrivare all’approvazione della legge bisognerà che chiunque, in Parlamento e fuori, tenga a raggiungere questo ambizioso obiettivo si faccia carico silenziosamente dell’oscuro e faticoso lavoro di sciogliere i nodi e risolvere le resistenze – posto che sono trasversali: le assicuro che ce ne sono dappertutto – evitando a tutti i costi uno scaricabarile che sicuramente non ci aiuterà a portare a casa il risultato. Ovviamente, sempre che l’obiettivo sia quello. Se invece quello che ci vede protagonisti è un mero esercizio propagandistico allora, conoscendo la sua passione per il latino, sono sicuro che converrà con me che se errare humanum, perseverare diabolicum. Vorrebbe dire che non abbiamo imparato nulla dal passato.
Sabato scorso alcune associazioni Lgbti hanno lanciato un appello congiunto ai leader dei quattro partiti di maggioranza e al presidente del Consiglio perché prendano una posizione chiara sul ddl contro l’omotransfobia e la misoginia. Secondo lei Matteo Renzi, che s’impegnò per l’approvazione della legge sulle unioni civili, sarebbe pronto a esprimersi?
Le dirò che Italia Viva, grazie all’esperienza della legge sulle unioni civili, ha già fatto un lavoro essenziale dal punto di vista della sua elaborazione politica sui temi Lgbti. Molti dei dirigenti del nostro Partito sono persone di cultura cattolica che però hanno abbracciato la cultura dei diritti civili come strumento di crescita complessiva del Paese. Penso a Ettore Rosato, che all’epoca era capogruppo del Pd alla Camera e, il giorno dell’approvazione definitiva della legge, assegnò proprio ad Alessandro Zan, – nonostante le vibranti proteste di una parte del gruppo – la dichiarazione finale di voto. Penso a Maria Elena Boschi che seguì la calendarizzazione del disegno di legge nelle due Camere e lo protesse dagli infiniti trabocchetti di aula come ministra dei Rapporti con il Parlamento. Penso a Matteo Renzi che dichiarando di aver giurato «sulla Costituzione e non sul Vangelo», decise in primo luogo di imporre al gruppo Pd alla Camera di non presentare alcun emendamento, affinché la legge fosse approvata in due sole letture, e poi addirittura di porre la questione di fiducia sul testo della legge 76. Insomma, credo che alla luce di questi precisi fatti storici dare lezioni di laicità e di contemporaneità a Italia Viva sia un’operazione veramente acrobatica. Oggi che siamo il partito più piccolo della coalizione mi piacerebbe vedere innanzi tutto dai maggiori leader della maggioranza di oggi – da Conte, a Zingaretti, a Di Maio – lo stesso impegno pubblico e la stessa determinazione politica che noi mettemmo a sostegno dell’approvazione della legge 76 quattro anni fa.
Lei è candidato alla presidenza della Regione Puglia. Quanto sono presenti i temi dei diritti civili e dell’inclusione nella sua campagna elettorale?
Ognuno di noi testimonia quotidianamente la battaglia per l’uguaglianza e io non faccio eccezione. Tutto ciò che faccio ha necessariamente in sé un’attenzione all’inclusione e la mia attività politica – che io lo voglia o meno – è di fatto una delle tantissime testimonianze che le persone Lgbti aspirano al raggiungimento della piena cittadinanza e delle medesime opportunità delle persone eterosessuali e cisessuali. Inoltre, anche per ragioni legate alla mia esperienza professionale, mi sono convinto negli anni che ogni comunità che investe sulla diversità e sull’inclusione è più capace di generare creatività e prosperità ed è maggiormente in grado di anticipare il cambiamento e di far leva sulle potenzialità e il talento delle persone. Per questo la Puglia che ho in mente è certamente una regione inclusiva e aperta alle differenze: culturalmente non è difficile, i pugliesi sono gente naturalmente aperta. La politica però non è sempre stata all’altezza. È di ieri, per esempio, la notizia che la legge regionale contro l’omotransfobia arriverà prestissimo in aula in Regione Campania. Purtroppo, nonostante le numerose promesse e le dichiarazioni di impegno formulate in questi ultimi cinque anni, in Puglia le cose non sono andate così. A dimostrazione che essere di sinistra non è una cosa che basta dichiarare: quando se ne ha il potere bisogna far succedere le cose, come abbiamo fatto noi quando eravamo al governo. Altrimenti resta soltanto un’etichetta.