Secondo quanto calendarizzato dalla conferenza dei capigruppo la settimana scorsa, è iniziata oggi pomeriggio nell’Aula della Camera la discussione generale sul testo unificato delle proposte di legge contenente misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi legati al sesso, al genere all’orientamento sessuale e all’identità di genere.
Dall’opposizione nessuna novità: deputati e deputate di Forza Italia, Fratelli d’Italia e Lega hanno ripetuto la solita litania di legge liberticida, che conculcherebbe la libertà d’espressione, non senza il riferimento alle eversive lobby Lgbt che sulla bocca di Alessandro Pagano suona come un vinile rotto.
La seduta si è aperta con la relazione del relatore Alessandro Zan (Pd), di cui pubblichiamo il testo integrale:
Colleghe e colleghi, sono passati 24 anni dalla presentazione della prima proposta di legge in materia di contrasto dell’omolesbobitransfobia. In questi ventiquattro anni, per ben sei volte il Parlamento ha tentato di approvare una legge e per ben sei volte ha fallito. In questi ventiquattro anni discriminazione e violenza di matrice omolesbobitransfobica hanno continuato a colpire moltissime persone, compresi giovani e giovanissimi, soltanto per quello che sono o per chi amano. L’omolesbobitransfobia ha radici profonde nella cultura patriarcale e oggi è alimentata da un dibattito politico sempre più intollerante verso le differenze. Le stesse radici culturali sono all’origine dell’odio e della violenza contro le donne: misoginia e omolesbobitransfobia, nelle loro rispettive specificità, sono infatti riconducibili all’intenzione di cancellare chi si allontana da ruoli e stereotipi di genere e di considerare le differenze che sono frutto dell’identità personale e della libertà delle scelte non come una risorsa e una ricchezza democratica, ma come un pericolo. Ecco perché, dopo 24 anni, esaminiamo nuovamente una proposta di legge che non riguarda però solo il contrasto all’omolesbobitransfobia, ma anche alla misoginia. L’urgenza dell’intervento normativo deriva anche dalla necessità di dare attuazione a specifiche indicazioni che provengono da atti dell’Unione europea e dalla stessa Convenzione di Istanbul. La proposta di legge, dunque, ha l’obiettivo di prevenire e contrastare discriminazioni e violenze motivate dal sesso, dal genere, dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere, nel rispetto – lo sottolineo sin d’ora – degli articoli 2, 3 e 21 della nostra Costituzione. Essa è il risultato della redazione in testo unificato delle proposte abbinate e tiene conto delle risultanze delle audizioni e degli esiti della discussione generale. Adottato come testo base nella seduta del 14 luglio, il testo è stato in ulteriore discussione con l’esame degli emendamenti e l’approvazione di alcuni di essi, che hanno contribuito a precisare la portata di alcune disposizioni, in alcuni casi a migliorarne formulazioni e contenuti. Ciò è avvenuto nel quadro di un confronto franco e trasparente all’interno della maggioranza e con il contributo importante di alcuni esponenti di forze di opposizione, che ringrazio. Nello svolgimento delle mie funzioni di relatore ho cercato poi, per quanto possibile, di mantenere aperto il confronto anche con le forze di opposizione più radicalmente contrarie all’approvazione di questa legge. In due casi ho dato parere favorevole a proposte di modifica presentate dai colleghi di Lega e di Fratelli d’Italia perché, a differenza dei molti emendamenti ostruzionistici da loro presentati, miglioravano la formulazione dell’articolo 9. Sul testo emendato e approvato nella notte tra il 28 e il 29 luglio sono stati acquisiti i pareri delle Commissioni competenti, che hanno formulato osservazioni e in un caso condizioni. Prima della fase emendativa, erano stati altresì acquisiti i pareri del Comitato per la legislazione e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.
La proposta di legge realizza un intervento integrato. Essa, infatti, non si limita a rimuovere una discriminazione ma agisce in termini positivi, promuovendo la pari dignità delle persone LGBT+, ai sensi dell’articolo 3 della Costituzione. Allo stesso tempo, essa riconosce il sesso, il genere, l’orientamento sessuale e l’identità di genere quali aspetti della personalità meritevoli di riconoscimento giuridico e protezione ai sensi dell’articolo 2 della Costituzione.
L’articolo 1 del testo modifica l’articolo 604-bis del codice penale, estendendo alle condotte motivate da sesso, genere, orientamento sessuale, identità di genere alcune delle fattispecie di reato di cui alle lettere a) e b) del comma 1 dell’articolo 604-bis, cioè l’istigazione al compimento o il compimento di atti discriminatori e violenti, ma non la propaganda di idee fondate sulla superiorità o sull’odio etnico o razziale e la corrispondente fattispecie associativa. Al fine di distinguere tra gli ambiti di incidenza delle diverse fattispecie di reato contemplate dall’articolo 604-bis, la lettera d) dell’articolo 1 ne riscrive la rubrica per meglio precisare che non è compresa la propaganda.
L’articolo 2 estende alle condotte motivate dalle medesime ragioni l’aggravante speciale prevista dall’articolo 604-ter del codice penale.
L’articolo 3, introdotto in Commissione, interviene sul delicato profilo della compatibilità delle innovazioni in materia penale con la libertà di manifestazione del pensiero. Esso ribadisce che restano salve la libera manifestazione di opinioni e convincimenti nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee e alla libertà delle scelte.
L’articolo 4 della proposta di legge modifica l’articolo 1 del decreto-legge n. 122 del 1993, la cosiddetta “legge Mancino”: in primo luogo, si introduce la possibilità di svolgere le attività non retribuite a favore della collettività, lì previste anche nell’ipotesi di sospensione condizionale della pena e di messa alla prova dell’imputato; in secondo luogo, si prevede che tali attività possano essere svolte anche presso associazioni e organizzazioni che si occupano della tutela delle vittime dei reati di cui all’articolo 604-bis.
L’articolo 5 interviene a modificare l’articolo 90-quater del codice di procedura penale, includendo tra le condizioni di vulnerabilità della persona offesa rilevanti ai fini dello svolgimento del processo penale anche quella derivante dalla circostanza che il reato sia stato commesso per motivi legati al sesso, al genere, all’orientamento sessuale o all’identità di genere.
Gli articoli 6, 7, 8 e 9 della proposta di legge disciplinano, invece, azioni di prevenzione e di sostegno delle vittime di discriminazioni e violenza in ragione dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere. Deve essere precisato che, mentre la prima parte della legge si occupa anche delle discriminazioni e della violenza basate sul sesso e sul genere, la seconda parte si occupa soltanto delle persone LGBT+ e ciò perché, come è evidente, la prevenzione e il contrasto della discriminazione e della violenza verso le donne sono già oggetto di politiche e azioni specifiche che la proposta di legge non intacca.
L’articolo 6 istituisce formalmente nella data del 17 maggio la Giornata mondiale contro l’omolesbobitransfobia. Questa giornata esiste dal 2004 in tutto il mondo, è riconosciuta e celebrata delle Nazioni Unite ed è stata proclamata dal Parlamento europeo con la risoluzione del 26 aprile 2007. Essa viene celebrata anche in Italia, come dimostrano i messaggi che in tale occasione vengono diffusi dal Presidente della Repubblica e dalle alte cariche dello Stato. Inoltre, in occasione della Giornata si svolgono iniziative anche presso le amministrazioni pubbliche e nelle scuole, manifestazioni civili e anche religiose. L’articolo 6, dunque, riconosce realtà e prassi già ampiamente diffuse nel Paese e ne promuove la prosecuzione.
L’articolo 7 fornisce espressa copertura legislativa alla strategia nazionale LGBT, attiva presso l’UNAR già dal 2013. Essa interviene già oggi negli ambiti dell’educazione, dell’istruzione, del lavoro, della sicurezza, delle carceri e della comunicazione dei media. Per effetto dell’innovazione, pertanto, la strategia diverrebbe un elemento necessario della missione istituzionale dell’UNAR.
L’articolo 8 intende finanziare l’istituzione di un programma per la realizzazione in tutto il territorio nazionale di centri contro le discriminazioni motivate da orientamento sessuale e identità di genere. A tali centri potranno accedere le persone che si trovano in condizioni di vulnerabilità legate all’orientamento sessuale o identità di genere in ragione del contesto sociale e familiare di riferimento, ivi comprese le vittime di reati. I centri forniranno adeguata assistenza legale, sanitaria, psicologica, di mediazione sociale e, ove necessario, adeguate condizioni di vitto e di alloggio.
Si tratta di un presidio essenziale al fine di garantire pari dignità sociale alle vittime, rimuovendo gli ostacoli alla loro piena partecipazione alla vita sociale in diretta attuazione dell’articolo 3, comma 2, della Costituzione. Troppo spesso, infatti, il timore di rimanere esposti a fragilità economica, perdita dell’alloggio, come dimostrano i numerosi casi di giovani cacciati di casa a seguito del proprio coming out, perdita del lavoro e isolamento sociale rappresentano un freno alla concreta capacità di reazione alla discriminazione e alla violenza di matrice omolesbobitransfobica. La diffusione di centri contro le discriminazioni su tutto il territorio nazionale può rappresentare in questo senso occasione di supporto e aiuto concreto e, dunque, di speranza per le persone LGBT+ in condizioni di vulnerabilità.
L’articolo 9 dispone che l’Istat effettui periodicamente, sentito l’OSCAD – e questo è un miglioramento ottenuto grazie al contributo dell’opposizione -, una rilevazione statistica sulle opinioni della popolazione e sugli episodi di discriminazione e violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi oppure fondati sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere.
L’articolo 10, infine, reca la copertura finanziaria, che dovrà essere coordinata con quanto previsto dall’articolo 105-quater del decreto-legge n. 34 del 2020, ovvero il cosiddetto “decreto Rilancio”. Tale disposizione prevede, infatti, un iniziale finanziamento di azioni positive a favore delle vittime di discriminazione e violenza per orientamento sessuale e identità di genere che utilmente potrà confluire nella copertura di previsione di cui all’articolo 8 della proposta di legge.
Ai sensi dell’articolo 75, comma 2, del Regolamento, darò adesso conto delle ragioni che hanno condotto la Commissione a non recepire, già in sede referente, le condizioni formulate, in particolare, dalla Commissione affari costituzionali nel proprio parere. Lo farò non senza aver ribadito, preliminarmente, che il disposto dell’articolo 75, comma 2, è lungi dal rendere in qualche modo vincolanti per la Commissione di merito i pareri delle Commissioni ivi richiamate, e resta ferma la facoltà della Commissione di non recepire le condizioni previste nei pareri, motivando, comunque, il mancato recepimento nella relazione per l’Assemblea, cosa che mi appresto a fare ora. Ovviamente, l’Assemblea è libera di emendare il testo, anche recependo, se nel caso, le condizioni e le osservazioni formulate nei pareri stessi.
Passo, quindi, a illustrare le specifiche ragioni tecniche che hanno determinato il mancato recepimento, già in Commissione, delle condizioni contenute nel parere. Con riferimento alla formulazione dell’articolo 3, osservo, anzitutto, che è lo stesso parere a ribadire che la linea di demarcazione tra le condotte protette dall’articolo 21 della Costituzione e le condotte oggi punite dall’articolo 604-bis è già stata individuata con chiarezza dalla giurisprudenza della Corte costituzionale e dalla giurisprudenza ordinaria. Il confine può essere riassunto in poche parole: la libertà di manifestazione del pensiero non tutela le opinioni che istigano all’odio, alla discriminazione e alla violenza. Per questo la formulazione dell’articolo 3 non si sostituisce né si sovrappone agli approdi della giurisprudenza ma, più semplicemente, ribadisce il principio cui quella stessa giurisprudenza si è finora ispirata.
In altri termini, si è inteso esplicitare che l’aggiunta di specifiche ragioni di reato, cioè sesso, genere, orientamento sessuale e identità di genere, alle fattispecie già punite dall’articolo 604-bis avviene in continuità con quanto già chiarito in sede di interpretazione e applicazione della “legge Reale” e della “legge Mancino” in relazione ai delitti di istigazione e compimento di atti discriminatori o violenti, esattamente come già avviene per l’istigazione e per il compimento di atti discriminatori e violenti fondati su motivi razziali, etnici, nazionali e religiosi. Anche per il caso di condotte motivate da sesso, genere, orientamento sessuale e identità di genere la norma penale andrà, cioè, a colpire solo quelle opinioni istigatrici capaci di determinare il concreto pericolo del compimento di atti conseguenti. Dunque, ritengo che l’attuale formulazione dell’articolo 3 assorba pienamente i rilievi critici della Commissione affari costituzionali e che eventuali ulteriori specificazioni, che l’Aula resta ovviamente libera di apportare, non potranno andare oltre quanto già consolidatosi nella giurisprudenza.
Il parere della Commissione affari costituzionali solleva, inoltre, la questione, oggetto anche di una condizione contenuta nel parere del Comitato per la legislazione, delle definizioni dei termini utilizzati nella proposta di legge e, in particolare, delle definizioni di sesso, genere, orientamento sessuale e identità di genere. Sul punto, segnalo che l’inserimento di definizioni nel corpo della proposta di legge è stato ampiamente sconsigliato dalla gran parte delle penaliste e dei penalisti auditi in Commissione. I concetti richiamati nella proposta di legge, infatti, corrispondono a nozioni recepite e consolidate nel nostro ordinamento giuridico, sia da norme di diritto positivo, che dalla giurisprudenza. Ciò vale per le definizioni di sesso, orientamento sessuale e identità di genere, ma vale anche per il concetto di genere, la cui definizione ai fini del contrasto della violenza è fornita con chiarezza dalla Convenzione di Istanbul, all’articolo 3, lettera c). Per questo la Commissione ha sin qui ritenuto di non adeguarsi alle indicazioni contenute nel parere della Commissione affari costituzionali e del Comitato per la legislazione. Anche a tale riguardo, tuttavia, l’Aula potrà intervenire – e io auspico che lo faccia – se lo riterrà.
Come relatore mi corre, però, l’obbligo di dare alcune avvertenze. Anzitutto, come rilevato dalle audite e dagli auditi, l’eventuale inserimento di definizioni nel corpo della legge dovrà ispirarsi a criteri di precisione, dovrà essere corrispondente alle nozioni già contenute nel diritto positivo e soprattutto dovrà avere carattere inclusivo. Dunque, esse dovrebbero essere formulate in modo tale da coprire le concrete dinamiche di discriminazione e violenza, fondate su genere, sesso, orientamento sessuale e identità di genere, e per questo si dovrà tenere conto della specifica funzione delle norme cui esse fanno riferimento, cioè la funzione di contrasto della discriminazione e della violenza.
Allo stesso modo, si dovrebbe considerare che le definizioni riguarderebbero al tempo stesso profili dell’identità personale, ma anche specifiche ragioni di condotte discriminatorie e violente. Non abbiamo a che fare con semplici parole, colleghe e colleghi, ma con dispositivi capaci di riconoscere o escludere soggettività ed esperienze di vita nell’ambito di azione della legge. Questo richiede un supplemento di attenzione. Non possiamo, infatti, permetterci di inserire discriminazioni o escludere arbitrariamente ambiti di protezione da una legge che ha lo scopo di includere e proteggere tutti e tutte. Nello stesso spirito potrà essere avviata, se l’Aula lo riterrà, una riflessione sulle rimanenti osservazioni formulate dalla Commissione affari costituzionali, che, ad esempio, sul piano del coinvolgimento delle autonomie territoriali nell’elaborazione del programma di cui all’articolo 8, vanno senz’altro nella direzione di arricchire il testo.
Concludo. Colleghe e colleghi, quest’Aula è chiamata a dare una risposta alla domanda di riconoscimento e protezione che proviene da una larga parte della popolazione italiana. Allo stesso tempo, siamo chiamati a decidere se vogliamo per l’Italia un futuro di inclusione o la prosecuzione di dolorosi episodi di intolleranza e violenza verso tutto ciò che è percepito come diverso. Non vengono create aree di privilegio per nessuna persona. Si riconosce, semmai, come affermato dal Presidente della Repubblica lo scorso 17 maggio, che le discriminazioni basate su orientamento sessuale e identità di genere perpetrano continue violazioni della dignità umana, costituiscono una violazione del principio di uguaglianza e ledono i diritti umani, necessari a un pieno sviluppo della personalità umana, che trovano invece specifica tutela nella nostra Costituzione e nell’ordinamento internazionale.
Senza pregiudizio per nessuno, la proposta di legge aggiunge un tassello importante al mosaico delle pari dignità, riconoscendo nel sesso, genere, orientamento sessuale e identità di genere, le dimensioni della personalità ricche di valore per la persona e, dunque, rilevanti per il diritto. Così, allargando i confini della cittadinanza democratica, la proposta di legge contribuisce a disegnare una comunità politica più libera, giusta, inclusiva e solidale.