Avevo conosciuto Franca Valeri a Firenze alla fine degli anni ’70. Programmavo – assieme ad Athina Cenci – un centro di satira che avevamo chiamato Humor Side, facendo finta che fosse il nome di un famoso locale londinese, mai esistito. Nessuno della stampa se ne accorse nonostante mancasse vistosamente una U dopo la O. Lo spazio era quello di una gloriosa Casa del popolo aperta, la Società Mutuo Soccorso (Sms) di Rifredi, lo stesso dove ha sede oggi un centro teatrale molto attivo e “radicato sul territorio” – come si sarebbe detto allora –: il Teatro di Rifredi e la compagnia Pupi e Fresedde, diretti da Angelo Savelli e Giancarlo Mordini, da poco sposati. Vennero tutti gli artisti e i gruppi comici di quella generazione. E vennero anche due regine dello spettacolo di un’altra generazione come la cantante Milli e lei, Franca Valeri: per l’occasione e in loro onore i compagni della Casa del popolo costruirono un camerino sul palcoscenico perché non si scomodassero troppo. Fu una scoperta per i tanti giovani di allora che l’avevano vista solo in Tv o al cinema.
Poi mi sono trasferito a Roma e dal 1979 ho cominciato la mia carriera, con la prima riduzione teatrale de Il bacio della donna ragno di Manuel Puig, un successo replicato per due stagioni in tutta Italia, che fece scalpore. Nella capitale ho avuto modo di frequentare Franca Valeri e di conoscerla bene, con la sua intelligenza, la sua ironia, il suo sguardo “diverso” sulla realtà, sempre originale e anticonformista.
Attorno al 1984 era nato a Roma, affiancando lo storico Circolo Mario Mieli, Arcipelago Gay, un gruppo formato principalmente da persone dello spettacolo e dell’informazione, di cui facevano parte Giovanni Forti, Francesco Gnerre, Franco Roselli, Andrea Stanisci, Fabio Bo, Marcello Di Stefano e altri che mi scuseranno se non li cito, ma sono passati tanti anni. Il nostro motto era Mettiamola così: diverso sarà lei e, fra le tante iniziative, nel 1985 ci venne in mente una serata di dediche di donne dello spettacolo e della cultura chiamata Ai miei amici omosessuali.
Era la prima volta che pubblicamente si sfatava l’assurda presunta contrapposizione fra gay e donne, sottolineando al contrario il naturale comune fronte antimaschilista. La prima che chiamai fu Franca. Le spiegai l’iniziativa. Lei, dall’altra parte del telefono, dispensò uno di quei tanti “silenzi-assenso”, che avrei più tardi imparato a conoscere. Poi chiese: «Ma chi l‘organizza?». «Arcipelago Gay», rispondo. E lei: «Addirittura!».
Venne naturalmente e vennero Giovanna Marini con le sue ballate esaltanti, Athina Cenci che lesse un brano de La donna gigante di Lidia Ravera, Lou Leone (la regista di Io sono mia), che parlò della difficoltà di non essere uomo nel mondo del cinema. Salì sul palco Maria Rosaria Omaggio nei panni di una Madonna di Lourdes dalla pessima mira, che scocca il suo raggio d’amore e, invece, di una coppia di fidanzatini fedeli colpisce per sbaglio un portantino e il suo ragazzo: Ma quando è amore…, un testo esilarante scritto da Franco Roselli. C’era Barbara Alberti, la grande scrittrice e sceneggiatrice che parlò del suo rapporto con i gay: «Se non avete mai visto due uomini fare l’amore, non potete sapere cos’è la passione». Margherita Parrilla, etoile dell’Opera di Roma, danzò un bellissimo a solo dedicato ai suoi tanti colleghi omosessuali e allo “zoccolo duro” del pubblico di questa arte. Le attrici Ida Di Benedetto e Patrizia De Clara lessero un bellissimo brano di Pasolini dedicato alla Magnani e altre poesie. Era in cartellone, ma all’ultimo momento non venne, Sandra Milo. Meno male perché la serata durò oltre le due notte.
La scenografia di Andrea Stanisci rappresentava Monte Caprino, il leggendario dionisiaco punto di incontro dei gay romani, proprio sotto il Campidoglio. Buffe sagome di “battitori” si aggiravano fra cespugli e ruderi in plastica; due panchine in stile servivano per le interviste. Quell’11 febbraio una folla inaspettata riempì il Teatro Colosseo in ogni ordine di posti, mentre un nutrito gruppo di spettatori rimase fuori cercando letteralmente in ogni modo di entrare.
Indovinate chi era l’ultima in scaletta? Ma lei naturalmente. Entrò in scena e tutto il pubblico in un attimo si alzo in piedi adorante. «Vi ringrazio – esordì – di avermi invitato a questa serate fertile… e sterile. Prima di tutto vorrei che fosse chiaro che io sono venuta qui per essere incoronata regina». Nuovo applauso interminabile. Attaccò con i suoi famosi cavalli di battaglia, in testa L’amore della mamma è cieco. La grazia e l’eleganza di Franca toccavano argomenti allora ancora scottanti, trattandoli con ironia e disincanto, senza giudicare o esaltare, ma cogliendo con precisione e affetto i tanti pregi e difetti degli omosessuali di tutti i tempi e di tutte le latitudini. Che dirvi del risultato? Il pubblico che non la voleva lasciar andar via e che alla fine la incoronò all’unanimità “regina”.
Quante altre telefonate seguirono da allora non saprei dire. So che dopo un po’ lei, non appena rispondeva, mi chiedeva: «Che vuoi?». E io a spiegare le tante diverse manifestazioni culturali, di solidarietà, le iniziative contro la discriminazione sessuale, per la difesa degli animali alle quali non disse mai di no. «Soldi niente», concludevo. «E che me lo dici a fare?».