Un atroce episodio di violenza, consumatosi ieri nell’entroterra napoletano, ha nuovamente acceso i riflettori di media, classe politica, pubblica opinione e, soprattutto, della comunità arcobaleno sulla fragilità e vulnerabilità a cui è esposto l’universo affettivo ed esistenziale delle persone Lgbti+, soprattutto transgender.
La 18enne Maria Paola Gaglione e il 22enne trans Ciro Migliore, che si erano conosciuti e innamorati nel degrado del Parco Verde, avevano dovuto subire sin da subito l’opposizione della famiglia di lei. Il loro amore, mai accettato dai Gaglione, è finito tragicamente, nella notte tra venerdì e sabato, nelle campagne di Acerra: Maria Paola, in fuga con Ciro sullo scooter, è caduta sbattendo la testa contro una colonnina di cemento per l’irrigazione dei vicini campi agricoli.
A determinare l’incidente, secondo le prime indagini dei carabinieri, il 30enne Michele Gaglione, fratello della vittima, al termine di un inseguimento fatto di calci e tentativi di speronamento. Mentre la sorella era a terra in fin di vita, l’uomo si sarebbe scagliato su Ciro (attualmente in ospedale), prima di rendersi conto delle condizioni di Maria Paola. «Volevo darle una lezione, non ucciderla. Ma era stata infettata da quella»: questa parte della dichiarazione rilasciata ai carabinieri da Michele Gaglione, che, attualmente nel carcere di Poggioreale e accusato di omicidio preterintenzionale, è in attesa di convalida del provvedimento (attesa per domani dal gip di Nola).
Secondo la famiglia Gaglione, «Michele era uscito per convincere Maria Paola a rientrare a casa ma non l’ha speronata, è stato un incidente». Ma da quanto trapela da fonti inquirenti, per altro avvalorate dalla stessa dichiarazione di Michele, si sarebbe trattato di un vero e proprio inseguimento punitivo. Durissima la mamma di Ciro, che ha accusato su Facebook il 30enne «di aver commesso deliberatamente un omicidio perché non sopportava che la sorella frequentasse un uomo trans».
Immediate le reazioni politiche di condanna da parte di destra e sinistra, a partire da Alessandro Zan, deputato del Pd e relatore del ddl contro omotransfobia e misoginia, che ha dichiarato: «Questo è il risultato dell’arretratezza culturale e della mancanza di norme contro odio e violenze a sfondo omotransfobico. Il nostro Paese non può più stare fermo ad attendere l’ennesimo caso, l’ennesima discriminazione, l’ennesimo omicidio. Dobbiamo approvare la legge contro l’omotransfobia e la misoginia e dobbiamo farlo subito: dall’estensione della legge Reale-Mancino a questa fattispecie di reato, fino all’istituzione di centri antidiscriminazione e di case rifugio per dare riparo e sostegno alle vittime.
Il Parlamento deve assumersi le proprie responsabilità e deve dare al Paese una norma efficace perché questo ritardo continua a mietere vittime. Questa notte ha vinto l’odio, nel peggiore dei modi. Dobbiamo fermare questa spirale di violenza: ogni singolo nuovo caso di omotransfobia e misoginia sarà un ulteriore insulto alla memoria di questa ragazza e di tutte le altre vittime»
Condanna unanime da parte delle associazioni Lgbti+, tra cui Alfi, Atn, Arcigay, Arco, Circolo di Cultura omosessuale Mario Mieli, Gaynet (presieduta da Franco Grillini), Mit, cui si è aggiunta la voce sempre più accreditata nella pubblica opinione del Comitato Da’ voce al rispetto per la campagna nazionale di una buona legge contro l’omotransfobia e la misoginia.
«Ciò che è accaduto a Caivano – si legge nel comunicato ufficiale – è di una gravità inaudita. Un omicidio maturato in ambito familiare e finalizzato a lavare la “vergogna” di una figlia innamorata di un uomo trans. Transfobia, misoginia e violenza fanno purtroppo parte di una subcultura che ben conosciamo come generatrice di odio, violenza e discriminazione. Ci piacerebbe che le molte espressioni di solidarietà, dolore e condanna del mondo politico si concretino adesso in un atto comune e responsabile: il nostro Paese ha ora più che mai bisogno di una legge contro l’omotransfobia e la misoginia. Una legge che sia completa ed efficace e che possa garantire sicurezza, protezione e prevenzione.
Maria Paola e Ciro volevano solo essere liberi di amarsi. La violenza e la morte hanno distrutto per sempre il loro sogno. Questa tragedia, come le molte altre accadute negli ultimi anni, interpella una classe politica spesso assente e insensibile a una tale emergenza, perché affronti, una volta per tutte, il problema dell’omotransfobia e della misoginia. La “cultura” dell’odio va spezzata, così come va data risposta a questo dolore. Fuori e dentro le aule parlamentari».
Varie le dichiarazioni autorevoli del mondo trans al riguardo, tra cui quelle dell’artista Vladimir Luxuria, dell’assessora alle Pari Opportunità del Municipio Roma VII Cristina Leo e di Daniela Lourdes Falanga, presidente di Antino Arcigay Napoli, il cui biopic è stato presentato il 6 settembre al Festival del Cinema di Venezia.
Falanga, che, nella mattina di oggi ha incontrato Ciro per offrire al ragazzo e alla madre il sostegno legale e psicologico dell’associazione, ha raccontato come durante l’incontro il giovane FtM abbia detto in lacrime di voler incontrare la sua fidanzata per un ultimo saluto aggiungendo, altresì, che da tempo il fratello di Maria Paola li minacciava di morte.
«A Caivano si sta scrivendo una delle storie più brutali di violenza di genere. Si tratta di Ciro e Maria Paola – ha scritto sui social l’attivista trans torrese –. Ciò che potremmo indicare come femminicidio e transfobia. Intanto si consuma un dramma terribile, nella peggiore negazione, e Ciro in questa violenza inaudita subisce pure la condanna dell’ignoranza degli pseudo giornalisti e l’omertà di stampa. Lui non viene descritto come Ciro, ma come la compagna della ragazza morta. Se vogliamo capire cosa significa avere una legge contro l’omolesbobitrasfobia, questo è uno dei casi più espliciti. Qui c’è un omicida, c’è la violenza di genere, c’è la negazione da parte di una stampa che non sa definire fatti e persone e l’Italia da cambiare».
A Gaynews la nota giornalista Rai Giovanna Botteri ha così commentato: «Da Caivano a Colleferro fino al paesino lucano, dove si è consumato lo stupro punitivo di gruppo, sempre le stesse storie squallide e degradate di contesti periferici. E, ovunque, il mito del “maschio” palestrato tatuato e violento con chiunque non sia assolutamente simile al modello imposto: insomma, medioevo puro».