Si può entrare ne Le formiche festanti (Fandango, Roma 2020, pp. 216) di Pinar Selek con gli occhi socchiusi, come quando si passa da un luogo assolato e affollato a uno spazio in penombra. Tutto subito si vedono profili e spazi dai confini incerti, ma in breve gli occhi si abituano alla luce differente, e allora tutto prende corpo e consistenza e ci si cala in una dimensione che sembra un altro mondo da quello che sta là, a pochi metri appena.
Così accade a Nizza, che è molto di più dello scenario dove si ambientano le storie di questo romanzo corale. La Nizza di Pinar Selek sollecita a guardare le città, i luoghi, oltre le facciate patinate, e le stereotipie di chi non le abita, ma anche di chi le abita in posizione di privilegio o di una fatica che toglie curiosità e stimoli a cercare. I molti personaggi che popolano questo romanzo suggeriscono che è lo sguardo dell’esule che aiuta ad vedere oltre, a cogliere connessioni e possibilità, anche imparando una lingua e giocando con le parole. Come fa Alex, il bulgaro dagli occhi neri che ama i porti e il mare, che studia il francese insieme al suo amico Gouel, il bardo irlandese. Alex, incontrando il verbo traverser, sostiene che la sua traduzione migliore è travestire più che attraversare, dato che così vede Nizza, una città che a forza di essere attraversata si è travestita e per questo è così bella.
La piccola folla che incontriamo tra le pagine passa larga parte della propria vita lungo le strade, soprattutto di Riquier, il vecchio quartiere popolare alle spalle del porto. Le vite si mescolano ai molti suoni e musiche che accompagnano le pagine del romanzo, dai garriti dei gabbiani alle ballate di Leonard Cohen, come Suzanne, cantata da Gouel, il musicista di strada. E Suzanne, chiamata Azucena dalla nonna spagnola esule in Francia dopo la guerra civile. Ecco la rivoluzione, anzi le rivoluzioni e i loro sogni, che fanno attraversare le frontiere, che fanno innamorare della vita e delle persone. Suzanne la dolce svampita, dal sorriso di papavero felice. «Sono innamorata di una donna molto più giovane di me. Mi mette le ali», così Suzanne racconta di Luna, la ragazza dalla pelle bruna, all’amico Michel, il marsigliese, sindacalista ferroviere. E poi c’è Katy, che scrive per le Grandes Nouvelle, vive tra Nizza e Parigi e si innamora di Suzanne, che si chiama anche Blu. Alex, l’innamorato di Manu, carica sul suo furgone sgangherato Suzanne/Azucena/Blu e la porta in salvo fino alla fattoria…
La fattoria, fulcro di lotte, dove si incrociano le vite dei protagonisti, dove si coltivano ortaggi e si producono semi che vengono distribuiti semi clandestinamente in cestini allo stand, nei pressi della stazione Riquier, crocevia di incontri tra gli uomini e le donne della fattoria,e la gente del quartiere. La fattoria delle formiche festanti non ha niente a che vedere con un buen retiro appartato dove dedicarsi a decrescite felici. È fatta di piccole baracche e roulotte abbandonate e riadattate dove uomini e donne sorridenti lavorano con gioia e parlano dei problemi del mondo, scavando tunnel insospettabili, minacciati dagli interessi delle multinazionali e delle mafie locali.
Che cosa hanno in comune il linguaggio degli alberi, la lotta di classe e le formiche, sognante titolo di un capitolo del romanzo?
Le vite dei molti personaggi sono tratteggiate con interesse per le singolarità, ma lontano da scavi individualisti. Quello che potrebbe apparire un limite risulta al contrario un aspetto stimolante della scrittura di Selek, che si concentra su quel che rende ciascuno ciò che è in ragione delle relazioni che ha avuto e ha. Leggendo, riecheggia il Io sono perché noi siamo di Marielle Franco. È un io/noi fatto di singolarità irriducibili, di appartenenze e passioni che corrono libere da gabbie identitarie.
Le formiche festanti è anche un romanzo sul comune, sul mettere in comune, sul riconoscere cosa ci accomuna tra umani, certo, ma non solo. Cosa accomuna umani e uccelli, cani e gabbiani, la schiuma del mare e la piccole erbe, nell’abbraccio largo di un’amicizia interspecie. Le formiche festanti indicano un pezzo di strada da fare, insieme, e mostrano cose che si posso imparare. Preparare pranzi amorevoli con la malva raccolta nei prati e saltata in padella con l’aglio, scoprire quanti tesori si possono trovare nella spazzatura, come le scarpe rosse che Alex dona a Suzanne. Costruire reti di solidarietà con i migranti senza documenti. Colpire gli sfruttatori degli schiavi agricoli. Liberare i cani di razza dalle galere dorate in cui li chiudono certi umani. Aiutare chi attraversa le frontiere cercando una vita migliore. Imparare la gioia che può accomunare nelle lotte perché le città non si trasformino in prigioni.
Soprattutto si impara a non imparare la disperazione. Malgrado tutto. Malgrado lo sguardo lucido sullo stato delle cose sulla Terra, sul disastro ecologico e la folle ferocia del modo di produzione, sulle ingiustizie, sulle molteplici oppressioni con cui i viventi devastano la vita di altri viventi, umani, animali o vegetali che siano.
«Tutto ciò che devia dal percorso prestabilito verrà eliminato», tuonano le Paranoiche, il misterioso gruppo che anima la fattoria e lo stand di Riquier. Perché ci vuole una dose di paranoia e anche un pizzico di schizofrenia per lottare per la liberazione: saper vedere ciò che i più non vedono e sapersi separare un po’ dalla realtà quando diviene insopportabile. «È di noi che hanno più paura. Perché diventiamo autonomi, mettiamo radici dove ci troviamo e scaviamo gallerie come le formiche. Restiamo invisibili e, quando ci notano, è troppo tardi».
Riassaporando l’incontro che è ogni libro importante, è forte la tentazione di farsi contagiare dal gioco delle formiche festanti. Pinar Selek, scrittrice, sociologa, attivista antimilitarista, in esilio dalla Turchia dal 2009, anche nota anche per il suo impegno a fianco delle comunità vulnerabili e dei movimenti di liberazione, non propone certezze e dogmatismi, non consola con favolette bucoliche. «Nella nostra epoca oscura, davanti al disastro, che non è domani, ma è già presente, e alla assoluta incertezza – scrive giustamente il filosofo Miguel Benasayag – questo romanzo mostra che la gioia è nelle lotte, e in questo agire mai scisso dal pensiero che si segna il cammino, che non sappiamo dove porterà, ma percorrerlo è l’unica possibilità di vivere passioni gioiose».
Ma la miglior chiave di lettura a quello che è il suo quarto romanzo la dà la stessa Pinar Selek quando scrive: «Lavorare per aprire con gioia tunnel in ogni dove, andando in profondità, costruendo gallerie nascoste che forse un giorno si congiungeranno. Anche se sono anni bui per il mondo, le formiche festanti trovano sempre la strada verso la solidarietà, verso la lotta, per la giustizia, per un mondo più felice. Servono coraggio, forza e amore».