Luogo di svago, inclusione e accoglienza per antonomasia a Napoli, piazza Bellini lo è stata ancor di più ieri sera col presidio di solidarietà Costruiamo comunità resistenti, che, organizzato da Link Napoli – Sindacato universitario e da Link Orientale, ha simbolicamente restituito alla stessa, deturpata dall’aggressione squadrista e omofoba del 18 settembre, il suo caratteristico volto festante.
Dalle 18:00 alle 21:00 una settantina di persone si è stretta intorno alle due vittime del pestaggio, l’attivista Gianmarco (Giammy) Vitagliano e il giornalista Jonathan Silvestro di Cronache di Napoli, per dire no alla violenza, alla barbarie culturale a essa sottesa, ai «mandanti politici», che quella violenza «sdoganano nei discorsi e nelle pratiche», attraverso «la solidarietà, la partecipazione, la condivisione di esperienze, bisogni e prospettive».
Presenti anche Daniela Lourdes Falanga, presidente di Antinoo Arcigay Napoli, e Antonello Sannino, segretario politico del medesimo comitato, per riaffermare vicinanza e sostegno a Gianmarco e a Jonathan.
E proprio le vittime hanno tenuto, tra i tanti che si sono susseguiti, gli interventi più attesi ed emozionanti. Emozione, che Giammy non è riuscito a nascondere a telefono, quando contattato per un commento a caldo, ha dichiarato a Gaynews: «Il presidio che si è tenuto a piazza Bellini è stato un momento intenso: una comunità di persone, tutte diverse tra di loro, si è riunita in uno degli epicentri della movida napoletana, attraversato da realtà l’una differente dall’altra. Mi sono sentito molto toccato nel vedere che attorno a me e a Jonathan si sono riuniti corpi e menti, tutti diversi tra di loro, che si è formata una rete forte, stabile, pensante di coscienze collettive, ognuna delle quali ha fatto da collante all’altra, creando energia».
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L’attivista 23enne ha ribadito come «il motivo principale del presidio fosse quello di dare prova che una realtà integra, alternativa a quella che investe la nostra quotidianità, è possibile. Che abbattere il sistema così come ce lo impongono è possibile. Che lottare e far sentire la propria voce non è mai una scelta spinta dalla disillusione, ma una decisione spinta dalla speranza. Siamo riuscite e riusciti, tutte e tutti, a trasformare un episodio di violenza in una festa variopinta ed eterogenea».
Giammy non ha mancato, infine, di ricordare che «quanto accaduto a me e a Jonathan non deve essere strumentalizzato né trasformato in qualcosa alla mercé di interessi individualistici. Deve essere chiaro che l’aggressione subita è stata essenzialmente di matrice squadrista e fascista, aggravata dalla componente omofobica delle parole urlateci: cosa, questa, contraria a quanto una larga parte delle grandi testate giornalistiche, sulla scorta di quanto dichiarato da qualche associazione extraregionale e non radicata, dunque, sul territorio, continua a fare, portando così non a una sincera sensibilizzazione ma a una mera speculazione mediatica. Non voglio, perché non lo è, che la mia vicenda passi per omofobia “pura”. Al contrario, desidero che essa venga ascoltata e narrata perché non abbiano più posto parole dettate dall’odio nella nostra società, dove di ingiustizie ne esistono troppe, dove la disuguaglianza e le differenze di classe dilaniano l’intera comunità: quella umana».