Nell’ambito della manifestazione Quartieri dell’Arte 2020 ha debuttato al Teatro Pocci di Tuscania (dal 14 al 16 ottobre), in anteprima nazionale, la pièce Berlino non è tua, storia di un uomo abbandonato dal suo compagno che è fuggito a Berlino. Il progetto è una nuova produzione di SiciliaTeatro ed è diretto da Alessio Pizzech.
Mai rappresentato in Italia, il testo appassionato dello scrittore e video artista cileno Alejandro Moreno Jashés affascina per la forza evocativa legata a un luogo carico di simboli come Berlino. Restituita in una nuova versione di Gian Maria Cervo e Alberto Pichardo y Gallardo, la pièce è il racconto emotivo di una storia finita, alla ricerca di tracce e oggetti che la raccontino. Affidato alla vibrante interpretazione di Turi Moricca, lo spettacolo si rivolge ai giovani, proprio a loro che spesso fuggono dalla necessità di ricordare rimuovendo per paura le proprie fragilità. Il protagonista, invece, mostra loro come si debba e si possa elaborare il lutto di un amore finito.
Per saperne di più, raggiungiamo telefonicamente il regista Alessio Pizzech.
Alessio, la pièce Berlino non è tua affronta due temi importanti quali la separazione e la memoria. Oggi, nell’era dell’euforia digitale, credi che la società abbia maggior o minore capacità di relazionarsi con queste tematiche? Ricordare è davvero un dovere morale verso noi stessi e verso i nostri amori?
Memoria e separazione sono due temi fondanti che la società rimuove. La memoria è un dovere fondante su cui costruire il futuro. Invece siamo nell’epoca della rimozione. In un’epoca in cui non celebriamo mai né l’inizio né la fine e dunque non avvertiamo la separazione, un’epoca in cui siamo sempre connessi con tutti e con tutto e perciò facciamo fatica a pensare che si possa davvero essere separati. Memoria e separazione sono due esercizi che non sono sviluppati nella società contemporanea. Raccontare diventa un dovere morale verso noi stessi perché raccontare quello che è avvenuto anche una sola notte ha un valore anche solo per il nostro corpo.
La separazione di cui narra il testo che hai messo in scena è la separazione tra due uomini che si sono amati. Il recupero della memoria individuale e della memoria collettiva – relativamente ai sentimenti e ai rapporti di relazione – è sempre funzionale alla propria definizione identitaria, pensi abbia un valore identitaria ancora più forte per le persone Lgbt?
La memoria contribuisce inesorabilmente a costruirci come individui, come storia perché noi siamo la nostra Storia. Non credo che in questo Cinzia grande differenza tra persone eterosessuali e persone Lgbt perché credo che ogni essere umano debba trovare la forza della propria identità. Certamente è più imperdonabile che una persona Lgbt, che ha dovuto fare un viaggio all’interno della propria Storia per trovare la propria identità, non abbia attenzione verso la memoria. Le persone Lgbt devono fare un recupero ancora maggiore della propria Storia. Quindi se per tutti è un dovere morale la memoria, lo è ancora di più per una persona Lgbt. Tutti siamo diversi – come diceva Pasolini – e allora la costruzione della propria identità attraverso il ricordo e il valore del ricordo è fondamentale.
Secondo te, considerata la diversa percezione delle storie d’amore tra persone eterosessuali e persone omosessuali, l’abbandono in una coppia omosessuale può essere considerato un evento più traumatico dell’abbandono in una coppia eterosessuale?
L’abbandono nella dimensione omosessuale può essere più forte perché dentro echeggia l’idea dell’impossibilità. Nella dimensione degli amori percepiti fuori dalla norma, l’abbandona può diventare metafora dell’impossibilità di amare. In questo senso l’abbandono in una coppia gay suona in maniera più assordante perché racconta di qualcosa che è dentro già.
Quanto è potente – a tuo avviso – la capacità che ha un luogo, nel caso del tuo spettacolo Berlino, di restituirci o rivelarci tessere indispensabili della nostra identità? Come definiresti il concetto di topografia emotiva e sentimentale presente nello spettacolo Berlino non è tua?
Berlino non è tua racconta questa topografia dell’anima in cui i luoghi sono pezzi di noi. Quando siamo innamorati noi proiettiamo noi stessi nei luoghi e ogni luogo ci parla di come siamo cambiati, di come eravamo e di come siamo adesso. Le città in cui siamo stati ci danno il senso del tempo che si è o non si è fermato. I luoghi hanno un’energia ed è l’energia delle persone che li hanno attraversati. Tornare in luoghi in cui hai vissuto esperienze sentimentali ci fa tornare in quel mondo lì e ripercorrendo quei luoghi, noi possiamo recuperare la nostra memoria. Berlino, nel nostro caso, è luogo di una memoria collettiva che di una memoria individuale o di un’ipotetica storia individuale perché il nostro autore immagina il suo uomo a Berlino. Geografia dell’anima e geografia dei luoghi sono due pezzi imprescindibili di un percorso identitario.
Infine, che aspettative nutri per la messinscena di questa pièce, considerato anche il drammatico momento emergenziale che sta mettendo in ginocchio tutto il comparto dello spettacolo?
Le aspettative vanno oltre anche se il sistema teatrale italiano era in crisi già prima del coronavirus ed è in crisi anche adesso, con il coronavirus. La speranza è che, trattandosi di un monologo, in un momento in cui si fa fatica a realizzare messinscene con più personaggi, questa pièce possa avere più respiro. La speranza è che si aprano degli spazi di attenzione per le drammaturgie contemporanee e per mondi che non siano quelli del tratto borghese così da sviluppare temi forti che ci riguardano e riguardano molto anche la contemporaneità. Quindi, auspico una lunga vita a questo testo che propone il tema Lgbt come tema metafora di temi che riguardano anche le persone eterosessuali: è bello che partendo da un’esperienza omosessuale si possa creare qualcosa che sia simbolo per un’umanità più complessa e articolata in cui le diversità diventino finalmente un valore.