Il 2 ottobre scorso l’Ufficio per la promozione della parità di trattamento e la rimozione delle discriminazioni fondate sulla razza o sull’origine etnica (Unar) ha pubblicato sul proprio sito la traduzione dello Standard of Conduct for Business. Tackling Discrimination against Lesbian, Gay, Bi, Trans, & Intersex People. Realizzate nel 2017 dall’Ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti umani e corredate nella presente versione italiana di un miniglossario, queste Linee Guida sono finalizzate a favorire – come spiegato da Triantafillos Loukarelis, direttore dell’Unar – «una proficua e positiva cultura dei lavoratori e delle lavoratrici Lgbti e la garanzia del rispetto dei loro diritti».
Abbiamo cercato di approfondirne genesi, contenuti e obiettivi con Agnese Nadia Canevari, dirigente del medesimo Ufficio della presidenza del Consiglio dei ministri.
Dottoressa Canevari, in che contesto sono state realizzate le Linee Guida Onu e perché l’Unar ha deciso di curarne la pubblicazione in lingua italiana?
Le Linee Guida Onu relative agli standard di condotta per le aziende per l’inclusione delle persone Lgbti sono state pubblicate nel 2017. Sono un importante documento per contrastare la discriminazione nei confronti delle suddette persone in ambito lavorativo, basato sui Principi guida delle Nazioni Unite sulle imprese e diritti umani del 2011. Proprio relativamente alle azioni che l’Unar porta avanti per l’inclusione socio-lavorativa delle persone Lgbti, nell’ambito del Pon Inclusione, si è deciso di tradurre, pubblicare e diffondere questo strumento a supporto delle imprese, per far conoscere e diffondere il diversity management e le implicazioni positive di policies aziendali di inclusione.
Sappiamo che il lavoro è indubbiamente uno dei principali ambiti in cui la discriminazione può attuarsi per quanto riguarda sia l’accesso sia le condizioni lavorative con pesanti ricadute in termini di esclusione sociale e qualità della vita. E il ruolo delle imprese risulta fondamentale per realizzare un ambiente inclusivo. Creare le condizioni per il benessere lavorativo delle persone Lgbti, assicurare un clima positivo in azienda, in cui ognuno sia libero di esprimere se stesso senza bisogno di nascondere ai colleghi il proprio orientamento sessuale o la propria identità di genere, creare condizioni favorevoli con adeguate misure di welfare aziendale anche per genitori di famiglie omogenitoriali, formare il personale su queste tematiche, significa certamente migliorare la qualità della vita dei lavoratori e delle lavoratrici Lgbti, ma anche dell’intera comunità professionale. Voglio sottolineare la particolare situazione di vulnerabilità e discriminazione a cui sono soggette le persone transgender, soprattutto per quanto riguarda la possibilità di accedere al mercato del lavoro o le difficoltà incontrate in ambito professionale da coloro che devono affrontare un percorso di transizione. A questo proposito, l’Unar, sempre nell’ambito del Pon Inclusione, sta realizzando azioni specifiche per l’accompagnamento e la realizzazione di start up per le persone transgender.
Quale obiettivo si prefiggono le Linee Guida?
Le Linee Guida concorrono ad affermare i diritti umani e a combattere la discriminazione nei confronti delle persone Lgbti, ancora frequentemente soggette a stigma e pregiudizio sul luogo di lavoro, e in questo senso costituiscono un efficace strumento di indirizzo. Oltre a essere uno strumento per favorire l’uguaglianza e la parità di trattamento, si rivolgono alle aziende in quanto esse sono un soggetto fondamentale per affermare i diritti delle persone Lgbti, per promuovere la cultura del rispetto e delle differenze, migliorando l’ambiente lavorativo e contribuendo contestualmente ad accelerare il cambiamento del mercato e della società intera. Rappresentano anche uno strumento che la società civile può utilizzare per valutare le pratiche aziendali.
Esse contemplano cinque standard: quali sono e a cosa servono?
I cinque standard sono principi ampi a cui le politiche aziendali dovrebbero ispirarsi e riguardano i diversi livelli di intervento: il luogo di lavoro, il mercato, la comunità. Il primo standard afferma il rispetto dei diritti umani come principio generale che dovrebbe costituire la guida delle politiche aziendali. Il secondo e il terzo riguardano specificamente il luogo di lavoro, in cui le imprese devono garantire la non discriminazione “a tutto campo” (nelle assunzioni, nelle condizioni di lavoro, nell’accesso ai benefit) e un ambiente positivo, rispettoso della dignità delle persone, senza stigmatizzazioni nei confronti dei lavoratori e delle lavoratrici. Il quarto standard si riferisce al ruolo che le imprese possono avere nel cambiamento del mercato, attenendosi al rispetto del principio di non discriminazione in tutta la filiera dei fornitori, dei distributori e dei clienti. Il quinto standard riguarda, invece, la possibilità per le imprese di agire nella sfera pubblica per migliorare la società nel suo complesso, utilizzando la propria influenza e il proprio sistema di relazioni, promuovendo i diritti umani anche attraverso l’organizzazione di iniziative e il dialogo con la società civile nei contesti locali di riferimento. Si tratta quindi di un approccio ampio finalizzato a migliorare la vita delle persone Lgbti, ma anche quella della società, che ci immaginiamo aperta, inclusiva e sostenibile.
La versione italiana è arricchita da un miniglossario: che cosa ha spinto a una tale decisione?
Il miniglossario è stato inserito nella pubblicazione italiana, poiché si è pensato che potesse essere uno strumento aggiuntivo di supporto, soprattutto per le aziende che ancora non si sono approcciate al tema Lgbti, utile per meglio comprendere la complessità del tema e, soprattutto, per utilizzare un linguaggio corretto e non discriminatorio. Questa appendice è tratta dal sito Infotrans.it, realizzato dall’Unar insieme all’Istituto Superiore di Sanità, in cui è possibile trovare il glossario completo.
Dovendo dare una valutazione della situazione italiana, cos’è stato fatto finora dalle aziende e cosa resta da fare?
La situazione italiana presenta una situazione molto differenziata. Certamente abbiamo esempi positivi e avanzati di pratiche di inclusione delle persone Lgbti, che riguardano soprattutto grandi aziende e multinazionali. L’indice di inclusività di una azienda non ha ricadute soltanto sulle singole persone, ma sull’intero ambiente di lavoro, migliorando il benessere socio lavorativo collettivo, oltre che produrre benefici in termini di produttività. Alcune imprese, soprattutto di maggiori dimensioni, hanno già attivato politiche aziendali di diversity management e adottato misure ad hoc per favorire la piena inclusione delle persone Lgbti, esperienze che costituiscono un bacino di buone pratiche a cui attingere e da diffondere affinché diventino patrimonio comune. Occorre quindi far conoscere le buone pratiche aziendali e metterle a sistema. E questo è anche uno degli obiettivi dei tre incontri per la diffusione delle Linee guida Onu che l’UNAR ha organizzato, coinvolgendo aziende, parti sociali e società civile. Ma resta molto da fare, innanzitutto in termini di diffusione della cultura dell’inclusione Lgbti e della valorizzazione delle differenze, in particolare per quanto riguarda la piccola e media impresa che costituisce buona parte del tessuto produttivo italiano. Proprio per conoscere la realtà italiana sul diversity management, l’Unar ha commissionato all’Istat un’indagine che ha coinvolto un campione di aziende con oltre 50 dipendenti e tutte le aziende al di sopra dei 500 dipendenti. I risultati, che saranno pubblicati a breve, costituiscono uno strumento importante per capire a che punto siamo e orientare le future azioni.