«Lo scorso 27 ottobre è morto Gian Piero Bona: romanziere, drammaturgo e, soprattutto, poeta. Come già accaduto qualche settimana fa con Nico Naldini, i poeti non fanno notizia e, tolta una veloce apparizione sul Corriere, nessun quotidiano sembra dare il giusto rilievo a questo autore davvero unico. Purtroppo in poesia, arte per pochi appassionati e ancor meno lettori, oggi fa notizia solo se il poeta urla, se si fa spazio a gomitate fra esaltati protagonismi. Lui no, era un uomo di un’altra epoca, un cultore dei versi di Rimbaud e Baudelaire, un grande estimatore di Cocteau, uno che amava parlare delle sue frequentazioni romane (era amico di Pertini) come se raccontasse di una sera passata a giocare a carte con gli amici. Non amava le tinte forti, almeno nella vita, perché in alcuni suoi libri è stato un autore che non ha rinunciato a toni più decisi, spesso come fuga dalla retorica perbenista del mondo che lo circondava».
Con queste parole il poeta piemontese Gianluca Polastri ha ricordato sui social Gian Piero Bona, traduttore tra l’altro dei versi di Gibran, Rimbaud e dei lirici greci, la cui morte, avvenuta lo scorso 27 ottobre a Moncalieri all’età di 93 anni, ha avuto pochissima risonanza mediatica. Eppure Bona è stato un grande intellettuale, schivo e riservato nei modi, ma chiaro e diretto nei contenuti narrativi e poetici. D’altronde, presentato al Premio Strega da Giovanni Comisso, esordì nel 1960 con un romanzo che suscitò scandalo, Il soldato nudo (1960), in cui si parla di omosessualità in ambiente militare. Tematica, questa, ripresa anche nel successivo I pantaloni d’oro (1969).
Giovanni Dell’Orto, recensendo anni fa per CulturaGay.it Il soldato nudo, che nel 1972 fu riedito da Longanesi, ricordava giustamente che, se i tempi fossero stati maturi, si sarebbe trattato di un’opera di “coming out”. Ma nel 1961 non era pensabile che una storia si concludesse con la presa di coscienza della propria omosessualità e il coming out vero e proprio. «E così il protagonista rimane a metà del guado – così l’insigne storico del movimento Lgbti+ italiano –, preda d’emozioni e turbamenti che non sa definire, ma che per i lettori dell’epoca, abituati per via della censura a badare alle minime sfumature e ai minimi segnali in codice, erano ben chiari, se non espliciti.”
Fra i primi libri di poesia vanno ricordati Il liuto pellegrino (1960) ed Eros Anteros (1962), in cui si inserisce una certa sensualità tra i versi. Nel 2005, per la pubblicazione della silloge Canzonette priapee, Francesco Gnerre, studioso di riferimento della letteratura gay italiana, intervistò Bona che, a proposito dell’omoerotismo prorompente dai versi composti alla soglia degli ottant’anni, rispose che era stata proprio la vecchiaia incipiente e l’approssimarsi del “volo”, cioè della morte, a suggerirgli di buttar via la zavorra fatta di ipocrisie, silenzi e falsi pudori.
Insomma, con Gian Piero Bona se ne è andata una voce importante e limpida della cultura omosessuale italiana, una voce diretta anche se non rivendicativa perché, come rivelò nella succitata intervista a Gnerre, «che tutti abbiano gli stessi sono d’accordo ma è importante non fare pasticci. Il matrimonio, per esempio, non ci riguarda, è un’altra cosa, non ci appartiene. Diventa persino grottesco».
da Eros Anteros
Il mare in burrasca scuote la stanza
e ho ancora in bocca il sale dei tuoi baci.
Una mosca si è posata sul letto,
ti rivedrò mai più? Quel fuggi fuggi
di gabbiani mi dice che è finita.
Se la mia casa rovinasse avrei
coraggio. Ma ora? Ben altra tempesta
è perdere chi hai follemente amato.