C’è una serie tv spagnola, Veneno, che ha fatto scalpore: la prima puntata a inizio “confinamiento” ha fatto il botto. Shooting e finalizzazione sono continuati durante l’emergenza sanitaria. Veneno ha fatto discutere la Spagna intera e per settimane è stata poi ritrasmessa in modalità pirata in tutto il mondo. Infine è stata acquisita per le trasmissioni negli Stati Uniti da Hbo. Ce n’è di che: Veneno ridefinisce completamente i modi e i toni del discorso sulle trans. Dopo Veneno non sono più “tutte così”: così come? Come abbiamo fatto a dimenticare che sono donne e ciascuna ha il proprio carattere, esistendo al massimo tipologie (come per il resto degli umani)? Per chi ha gli occhi e vuole usarli, la vita “omosessuale” o “transessuale” è vita e così va guardata. Questa serie comincia a farlo.
Io sono italiano, ormai mezzo spagnolo, e ho fatto fatica a vederla. Soprattutto non mi piaceva farlo con la qualità squallida delle trasmissioni pirata che mi faceva perdere il senso e la bellezza. Da qualche giorno la tv che gli ha dato spazio, Antena 3 Premium, ha finalmente messo in piedi un servizio internazionale a prezzo facilitato. E, se dopo la serie non vorrai più seguire la programmazione, avrai visto ben visto la serie di cui mezzo mondo sta parlando. Con Veneno è stato scritto un importante capitolo nella storia mondiale della tv: la generazione che con la televisione è cresciuta, oggi fa cinema d’autore attraverso il piccolo schermo. E i due registi, Javier Calvo e Javier Ambrossi, hanno creato una serie VM 18, dotata di realismo e forza inquieta, che la renderà non trasmissibile o censurata in moltissimi Paesi del mondo. Tutto questo non giocando al ribasso ma facendo cinema altissimo, confondendo i piani di “alto” e “basso” della vita con l’umiltà e la determinazione di cui gli spagnoli sono particolarmente capaci. Senza nascondere, anzi, il sesso, che di questa storia è motore fondamentale.
Veneno è un biopic che porta i temi della transessualità, dell’identità e del genere e quelli della diversità e della dignità in casa di tutti. Tutti possono e devono capire, a questo serve la televisione. Racconta la vita di Cristina Ortiz, la “donna che non lasciava indifferente nessuno”: vediamo la sua famiglia e il pueblo di origine, la sua reazione, il suo successo, il suo carattere indomito e la sua improvvisa e inaspettata morte. I due registi della serie hanno usato attori, non attori, persone che venivano dalla vita reale di Cristina La Veneno e altre che sono cresciute vedendola in tv. Pazzesco. Le invenzioni cinematografiche per evitare il grottesco o il patetico sono meravigliose: flashback e salti in avanti o indietro nel tempo, per raccontare in modo brillante e per far capire quanto, in ognuno di noi, vivano più personalità e più aspetti (ancor di più quando bisogna fronteggiare le difficoltà).
Questo film segna per me un ulteriore distacco emozionale dal mio Paese natale, l’Italia. Per noi una “resa dei conti” con la realtà come questa è semplicemente inimmaginabile. Siamo stati gli importatori nel continente europeo della peggiore tv commerciale, dichiarata fra l’altro in questi giorni “valore nazionale” (si sono comprati anche questo governo?). Ma ci siamo persi e siamo regrediti nella sottocultura della tv spazzatura, che in Spagna ha anche danneggiato ma ha prima “creato” la Veneno fino a renderla un’icona nota a tutti. E se l’Italia, la nazione di Fellini o Pasolini, vive da tempo presuntuosamente in una broda di serie M, la Spagna (nazione di Buñuel) cerca di farci i conti, come avrete notato da qualche decennio.
Di cosa siamo fatti noi esseri umani? Di carne o di fantasia? Siamo gli unici esseri viventi in grando di inventare cose astratte come il denaro, la legge o la religione e poi crederci e condividerle (cito Yuval Noah Harari). Ecco, in Veneno si parla e si mette in scena proprio la doppia realtà dell’essere umano – realtà concreta vs immaginario – , anzi è uno dei suoi livelli di lettura più alti, filosofici. Dove finisce la verità e inizia la rappresentazione? “Los dos Javis” – Calvo e Ambrossi, i due registi, portano lo stesso nome – hanno visto tanto ottimo cinema e buona tv. Per raccontare il mix di paradosso e difficoltà che è la vita, si potrebbero citare Tarantino, Ozon, ma anche Fellini, Monicelli e Pasolini nella tv a consumo. Tanta roba davvero ai livelli, superati per coraggio e risultati, di Netflix o Amazon Prime e con il puro e semplice made in Spain. Se vedrete dibattiti o back-stage con “los Javis”, rimarrete stupiti per l’umiltà e l’umanità. Qui da noi a un/una qualsiasi spocchioso/a (magari figli di papà) basta prendere un premio qualsiasi per montarsi la testa, Calvo e Ambrossi si accontentano di raccontare la vita. E una donna transessuale problematica e controversa a dir poco diventa discussione nazionale con affissioni gigantesche sulla Gran Via di Madrid e la serie “spacca” sul web.
Qualche anno fa un amico mi chiese come mai m’interessano tanto le persone trans, le tematiche di genere o lo spettacolo en travesti. Mi irritò perché era una domanda “italiana”, venata di ipocrisia e perbenismo da omosessuale maschio. Però risposi gentile che per me è una tessera fondamentale dell’esistenza. Fortunatamente – è uno dei tanti desideri che la vita mi ha esaudito – ho avuto amiche e amici che su questi temi mi hanno spiegato molto. Da Deborah Lambillotte, una delle migliori, che diventò donna a 46 anni dopo aver vissuto una vita in un felice matrimonio con una donna, e “inventò” l’ArciTrans. O un’artista come La Prohibida, perfettamente bilingue, spagnola con mezza anima italiana, che mi diceva: «Voi italiani mettete troppo sesso dentro la rappresentazione spettacolare “en travesti”, è un vostro problema».
L’attenzione e il rispetto verso queste persone è per me la cartina tornasole della nostra capacità di guardarci dentro, rispettare e valorizzare nella società chi non è come noi. Se qualcosa ci sembra volgare o difficile da accettare, dovrebbe anzi farci riflettere sull’ipocrisia che usiamo per la nostra vita privata. Vita privata, che loro non possono avere, espropriate di ogni privacy. Cristina Ortiz avrebbe detto – anzi ha detto, negli anni del successo tv –: «Puttana sì, e allora? Mi avete offerto altre possibilità?».
Veneno non è solo lo sconvolgente reportage di una vita. Ridimensiona e ridireziona il “discorso sulle trans” per farlo diventare un discorso sulla vita. Veneno è la fotografia impietosa della società allo spiacevole gusto di dolore. Anche se la reazione che le minoranze discriminate hanno è una risata, il dolore spinge a reagire come si può e cercare amore e conferma di noi in modo disperato. C’è anche una riflessione di cinema interessante per quanto riguarda il casting per interpretare persone ancora vive: quelli/e che in Veneno interpretano non sono quasi mai quelle della realtà ma per capacità di trasfert lo diventano. E lo diventano nella immagine collettiva come un “doppio” che duplica la realtà e la integra – la madre padrona e insensibile, le amiche di tutti i tipi (non esiste “la trans” ma tante donne con tanti caratteri), Valeria la biografa – in un lavoro su dignità e rispetto che apre la mente e il cuore. Paca la Piranha, la miglior amica di Cristina la Veneno – che nel biopic è l’unica che recita se stessa –, è diventata “Paca la Piranha, la coach migliore di Spagna” in programmi di intrattenimento tv. Affettuosa e mordace, è la madre che nella vita reale Cristina non ha avuto. E di Cristina la Veneno nell’intero biopic non ce n’è una bensì tre, oltre al bambino e all’adolescente, per mettere in scena i diversi modi di presenza e i flussi di coscienza. Adesso la serie è finita ed è disponibile a tutti.
Però Valeria Vegas, la giornalista che ha raccolto a suo tempo le memorie di Cristina, non ha ancora visto gli ultimi due episodi: per lei il peso della disgrazia della morte di Ortiz e il lavoro di collaborazione alla serie tv (un tributo anche a lei!) è stato davvero forte. L’ultimo episodio, per farvi capire, si chiama I tre funerali della Veneno. Attrici ed attori parlano di un set indimenticabile, pieno di risate, amicizia e di profonda intesa: avevano la sensazione finalmente di poter dire qualcosa di utile e di onesto su questo tema, sulla propria vita. E io, nel mio piccolo, mi sento vicino a questa comunità: non li/le conosco anche se i gradi di separazione con molti/e di loro sono 1. Ho anche il libro di Valeria che ha fatto partire tutto, Digo! Ni Puta ni Santa. Las Memorias de la Veneno: l’ho comperato con il crowdfunding per sostenerla qualche anno fa e l’ho regalato, oltre che al mio compagno, anche a una persona che amo.
Siamo fatti di carne e di sogni. Resistiamo come possiamo. Il bambino di campagna che fa la prima comunione è la pantera indomabile che non lascia indifferente nessuno per la sua forza. Chiamatela volgarità, se non vedete la verità.