Assolto dall’accusa di omicidio aggravato dalla premeditazione, perché incapace di intendere e volere a causa di un totale vizio di mente. Si è concluso così ieri il processo davanti alla Corte d’Assise di Brescia, presieduta da Roberto Spanò, a carico dell’80enne Antonio Gozzini, docente in pensione, che lo scorso anno uccise nel sonno la moglie 62enne Cristina Maioli, insegnante di scuola superiore, prima colpendola con un mattarello e poi accoltellandola alla gola e alle gambe.
In fase processuale il consulente della Procura e quello della difesa sono stati d’accordo nel dire che l’uomo «era in preda a un evidente delirio da gelosia che ha stroncato il suo rapporto con la realtà e ha determinato un irrefrenabile impulso omicida». Si è detto soddisfatto Jacopo Barzellotti, legale dell’80enne, «perché la sentenza esprime quanto emerso in dibattimento dove, caso più unico che raro, sia il nostro consulente che quello della Procura ha stabilito l’incapacità di intendere e volere di Gozzini».
Per la pm Claudia Passalacqua, che ha già annunciato ricorso in appello, Gozzini avrebbe invece compiuto l’omicidio «per vendetta perché la moglie voleva farlo ricoverare in ospedale per la sua depressione. È pericoloso far passare il messaggio che in quel momento non era capace di intendere e volere perché geloso». Con la sentenza di assoluzione la Corte d’Assise ha disposto il trasferimento dell’uomo, attualmente in carcere, in una residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza.
Ma le reazioni contro l’assoluzione non si sono fatte attendere e la polemica non si placa come dimostra anche il presidio di protesta di Non una di meno Brescia nella mattinata di oggi.
«La sentenza del tribunale di Brescia – ha dichiarato la presidente della Rete D.i.Re Antonella Veltri – ci lascia esterrefatte. Aspetteremo di leggere le motivazioni. Ma a caldo ci sembra che con questa sentenza la gelosia e la depressione diventino condizioni legali per compiere impunemente un femminicidio, una sentenza che dice in sostanza che se si è depressi e gelosi si possono anche ammazzare le proprie compagne, colpirle nel sonno con un martello e poi finirle a coltellate, tanto poi si viene assolti». Veltri ha quindi aggiunto: «Questa sentenza conferma, se ancora ce ne fosse bisogno, i rilievi fatti all’Italia dal Grevio e, che notava la grave persistenza, nel sistema giudiziario italiano, di pregiudizi sessisti e di una visione patriarcale dei ruoli di genere, per cui il marito-padrone può ‘punire’ la moglie che, a suo modo di vedere, contravviene a quanto da lui disposto. E non conta che il movente dell’omicidio sia il ‘delirio di gelosia’ dell’uomo, come si legge in questa sentenza, anzi. Il ‘delirio di gelosia’ diventa motivo per essere assolti. La Convenzione di Istanbul definisce chiaramente cosa si intende per violenza di genere, ma evidentemente non è conosciuta né tenuta in considerazione. Per questo, ora più che mai, chiediamo al Governo un impegno urgente per la formazione di chi opera nella giustizia, che il Codice Rosso ha previsto ma senza risorse, dunque non attuata».
Duro j’accuse anche da parte di Valeria Valente, senatrice del Pd e presidente della Commissione d’inchiesta sul femminicidio, che in un post Fb ha scritto: «Nel 2020 si può assolvere un uomo che ha compiuto un femminicidio nei confronti della moglie per “delirio di gelosia”? È sempre necessario aspettare le motivazioni di una sentenza, ma se venissero confermate le notizie di stampa il senso di quella di oggi preannuncerebbe un fatto gravissimo: un marito può essere assolto dal femminicidio della moglie perché il delitto è stato commesso ‘in preda ad un delirio di gelosia’, che ha reso l’uomo incapace di intendere e di volere. Se davvero l’uomo fosse stato incapace di intendere e di volere avremmo dovuto avere una pronuncia diversa. Noi crediamo invece che né la gelosia, né altri sentimenti di possesso possano in alcun modo giustificare la violenza contro una donna o addirittura la sua uccisione. Anzi, che proprio tali giustificazioni siano il prodotto della cultura patriarcale di cui il delitto d’onore era il simbolo e dalla quale vogliamo emancipare l’Italia. Certamente approfondiremo questa sentenza in Commissione Femminicidio».