A pochi giorni dalla revoca polacca e ungherese del veto al Recovery Fund il Parlamento monocamerale magiaro ha oggi approvato un pacchetto di emendamenti alla Costituzione, che, nel giro di appena nove anni, costituiranno la nona riforma della Carta o “Legge fondamentale dell’Ungheria” (Magyarország Alaptörvénye).
Con 134 sì, 45 no e 5 astensioni l’Assemblea nazionale ha infatti recepito l’emendamento 9 col quale, sulla base delle perentoria affermazione che «la madre è una femmina e il padre è un maschio», viene conseguentemente affermato che «l’Ungheria protegge il diritto dei bambini di auto-identificarsi con il sesso con cui sono nati». Si specifica inoltre che «l’istruzione è fornita secondo i valori fondati sull’identità costituzionale e sulla cultura cristiana» del Paese. Con 135 sì, 55 no e 5 astensioni è stato approvato anche il precedente emendamento che rende quasi impossibile l’adozione a persone single.
Infine, via libera definitivo alla legge omnibus o cosiddetta legge insalata (salátatörvény) – quella che, all’art. 33, approvato il 19 maggio, vieta il cambio legale di genere –, che attribuisce il diritto pieno all’adozione unicamente alle coppie sposate. Tenendo in conto che l’articolo L (comma 1) della Costituzione, secondo la riforma del 2011 (quella di cui fu principale artefice l’eurodeputato József Szájer, coinvolto a fine novembre nell’orgia gay di Bruxelles), definisce «l’istituto del matrimonio quale unione volontaria di vita tra l’uomo e la donna», se ne desume come la legge oggi approvata spogli le coppie di persone dello stesso sesso di qualsiasi possibilità d’accesso alle adozioni.
Eppure, secondo la ministra della Giustizia Judit Varga, l’obiettivo sarebbe quello di «proteggere i nostri bambini e non di limitare i diritti di alcuni gruppi sociali».
«Questo è un giorno buio – ha dichiarato Dávid Vig, direttore di Amnesty International Ungheria – per la comunità Lgbti ungherese, per i diritti umani e per tutti coloro che tengono all’uguaglianza e alla dignità umana». Gli ha fatto eco Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, che ha ricordato come «le organizzazioni per i diritti umani hanno sollecitato la Commissione europea ad aggiungere ai temi oggetto della procedura in corso contro l’Ungheria, attivata ai sensi dell’articolo 7 del Trattato dell’Unione europea, anche questi nuovi gravi attacchi ai diritti delle persone Lgbti».
Alle contestazioni dei gruppi Lgbti ed organizzazioni umanitarie si sono aggiunte quelle delle associazioni femministe: Katalin Novák, ministra per gli Affari familiari, ha rinfocolato maggiormente gli animi con un video messaggio, in cui s’invitano le donne a non cercare di competere con gli uomini in termini né di posizione sociale né di stipendio.